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Articolo 1660 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Variazioni necessarie del progetto

Dispositivo dell'art. 1660 Codice Civile

Se per l'esecuzione dell'opera a regola d'arte è necessario apportare variazioni al progetto e le parti non si accordano, spetta al giudice di determinare le variazioni da introdurre e le correlative variazioni del prezzo(1).

Se l'importo delle variazioni supera il sesto del prezzo complessivo convenuto, l'appaltatore può recedere dal contratto e può ottenere, secondo le circostanze, un'equa indennità(2).

Se le variazioni sono di notevole entità, il committente può recedere dal contratto ed è tenuto a corrispondere un equo indennizzo(3).

Note

(1) Le variazioni in questione sono quelle sopravvenute rispetto al progetto e non concordate. Si pensi, ad esempio, alla necessità di usare un materiale più sicuro ma più costoso per le strutture portanti di una casa in costruzione.
(2) Tale comma configura l'unica ipotesi prevista di recesso (v. 1373 c.c.) dell'appaltatore. L'indennità deve essere determinata in relazione all'attività già prestata dal recedente.
(3) Tale recesso è diverso da quello di cui all'art. 1671 del c.c.: innanzitutto, nel primo caso il recesso è circoscritto all'ipotesi di variazioni al progetto mentre nel secondo caso sono le parti, concordemente, a definirne limiti e presupposti; ne deriva, inoltre, che nel secondo caso l'indennizzo dovuto è maggiore che nella prima ipotesi ed è determinato non in modo preciso ma in via equitativa.

Ratio Legis

La norma è volta a garantire l'equilibrio del rapporto evitando sia che una parte subisca le conseguenze delle variazioni del prezzo, se ciò non è giustificato, sia che, entrambe, rimangano vincolate al contratto se questo diventa eccessivamente gravoso per esse (v. 1467 ss. c.c.).

Spiegazione dell'art. 1660 Codice Civile

Variazioni ed aggiunte necessarie per il buon andamento dei lavori: l'actio de in rem verso

La prescrizione che andiamo ad esaminare ha analogie con la discussione che si svolge nel campo delle opere pubbliche e cioè se sia possibile l' actio de in rem verso contro la pubblica amministrazione nel caso di opere eseguite dall'appaltatore senza il preventivo ordine scritto. La soluzione dottrinale e giurisprudenziale è in un senso di rigore e solo si ammette il rimborso a favore dell'assuntore quando l'amministrazione spontaneamente accetta il maggiore o diverso (e più costoso) lavoro.

In diritto privato, mancando nel committente quella supremazia che ha la pubblica amministrazione e mancando soprattutto quella minuta regolamentazione sul modo come progettare, approvare e fare eseguire opere aggiunte o variate, il codice si rimette al prudente arbitrio del giudice. Sorge la questione di conoscere se il giudizio sul necessità ed importanza delle variazioni debba istituirsi prima di introdurre le varianti ovvero se l'appaltatore può rivolgersi al giudice dopo aver iniziate o addirittura eseguite le variazioni al progetto. Dal testo della legge sembrerebbe che tale giudizio debba essere preventivo, vale a dire che l'appaltatore se non è autorizzato dal committente deve rivolgersi al giudice perché lo facultizzi ad eseguire le varianti, siano quelle reputate indispensabili dallo stesso assuntore, siano quelle che il giudice sarà per ammettere. Questa soluzione che appare la più aderente al testo del codice, può urtare, nella pratica, contro difficoltà notevoli e pur senza giungere al periculum in mora una sospensione dei lavori in attesa del responso dell'autorità giudiziaria può portare danni ai lavori medesimi ed esporre l'assuntore a responsabilità piu gravi di quanto forse non gli convenga eseguire la variante anche senza aumento di prezzo.


Limiti delle variazioni aggiunte

Quale che sia il modo col quale le variazioni siano state introdotte nel progetto di esecuzione, il codice fissa un limite oltre il quale si può sciogliere il contratto. Tale limite — evidentemente ispirato alla analoga norma che esiste per le opere pubbliche — è fissato dal codice nella misura di un sesto del prezzo complessivo convenuto, oltre il quale l'appaltatore può recedere dal contratto ed ottenere, secondo le circostanze, un'equa indennità.

Al di là del sesto, come si è detto, l'appaltatore può recedere dal contratto ed ottenere, secondo le circostanze, un' equa indennità. Quale sia la misura dell'indennità e il modo di liquidazione non è possibile dire con formule generali; soccorrerà il prudente arbitrio del giudice di merito il quale valuterà se le circostanze siano tali da consentire la liquidazione dell'indennità e come debbano influire sulla sua misura. Per orientarci tuttavia con qualche esempio, si può dire che se siamo in presenza di un'opera pressoché ultimata e per la quale l'assuntore non crede di accettare i nuovi lavori, l'indennità potrà essere negata, avendo l'appaltatore raggiunti i fini e gli utili fissati in contratto: mentre per converso, se fossimo in presenza di un lavoro appena iniziato, l'indennità sarà accordata e la sua misura dipenderà dall'apprezzamento relativo alle spese generali ancora da ammortizzare, e quindi, in principal luogo, dalle spese sostenute per l'impianto del cantiere. Ben s'intende che in tutta questa valutazione non vi debba essere motivo di responsabilità da parte dell'assuntore, perché per quanto il codice consenta il recesso non motivato quando le varianti superino il sesto del prezzo, tuttavia il recesso deve essere basato su elementi congrui e non su pretesti non fondati o che si possono appianare; ed anche qui entriamo nell'apprezzamento del giudice di merito.


Facoltà del committente

L'ultimo comma dell'art. 1660, riallacciandosi alla valutazione delle varianti, consente al committente di recedere dal contratto quando le variazioni sono di notevole entità, con l'obbligo però di corrispondere un equo indennizzo. Come questa si possa determinare è compito del giudice di merito, in caso di disaccordo delle parti, e naturalmente nella valutazione influiranno i vari elementi, quali ad es. l'ammontare dei lavori eseguiti rispetto a quelli ancora da compiere, in modo da valutare quanta parte delle spese di impianto sia stata ammortizzata.

La formula ampia, adoperata dal codice, non consente la prefissazione di criteri rigidi o di schemi di liquidazione e quindi la misura dell'indennità varierà da caso a caso in relazione alle singole situazioni. Oltre a ciò la norma deve essere posta in relazione alle disposizioni del­l' art. 1671 in forza delle quali il committente può recedere dal contratto anche se è stata iniziata l'esecuzione dell'opera o la prestazione del servizio, purché tenga indenne l'appaltatore delle spese sostenute e dei lavori eseguiti e lo risarcisca del mancato guadagno.
Ancora è da tener presente l'art. 1373, sul quale per ora non ci soffermiamo, che ugualmente concede — come norma generale — il recesso unilaterale, negandogli tuttavia effetto per le prestazioni già eseguite o in corso d'esecuzione.
L'armonica applicazione di queste disposizioni può portare alla conseguenza che l'appaltatore per ragioni di urgenza, inizia varianti, pur di notevole entità, il committente deve accettare le varianti eseguite, quante volte esse siano state riconosciute ammissibili dal giudice, e conseguentemente il recesso avrà effetto dal giorno della intimata sospensione e per la parte di opera non ancora eseguita. Si intende pure che, pur dopo la intimata sospensione, debbono essere portati a compimento a spese del committente quei lavori che si rendono necessari per salvaguardare la parte di opera sin qui eseguita.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

474 Il problema delle variazioni necessarie del progetto forma il contenuto della seconda ipotesi da me prevista.
A questo proposito, considerato che la esecuzione di opere necessarie può essere non solo interesse dell'appaltatore (profilo tenuto presente dal progetto della Commissione reale) ma che interesse del committente. Ho perciò formulato la norma (articolo 538) in termini generali, attenuandone però le conseguenze pratiche con l'attribuzione di un diritto di recesso a ciascuna delle parti.
Se infatti le modificazioni sono state richieste dall'appaltatore, il committente potrebbe essere esposto a oneri non previsti che lo possono indurre a recedere dal contratto, pagando, oltre che i lavori eventualmente eseguiti, una equa indennità che il giudice determinerà allo scopo di compensare l'appaltatore del mancato guadagno. Se le modificazioni sono richieste del committente, è giusto che qualora esse non alterano sensibilmente il progetto dell'opera, l'appaltatore sia tenuto ad eseguirle; quando invece supera un certo limite (un sesto del prezzo complessivo) l'appaltatore non può essere costretto a eseguirli, potendo accadere che egli non abbia l'attrezzatura sufficiente per il compimento delle nuove opere o che comunque ne risenta un pregiudizio. Egli può quindi in tal caso recedere dal contratto e può ottenere, oltre il valore dei lavori, eseguiti una equa indennità.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

702 In modo del tutto nuovo gli art. 1659 del c.c. e art. 1661 del c.c. regolano il problema delle variazioni al progetto dell'opera, problema che l'art. 1640 del codice del 1165 considerava da un solo profilo. Nel nuovo codice si distinguono le variazioni concordate dalle parti, le variazioni necessarie e quelle richieste esclusivamente dal committente. Sul primo punto, risolvendosi una questione agitata per il vecchio codice, si stabilisce che l'autorizzazione del committente all'esecuzione delle modificazioni deve essere provata per iscritto e che, in mancanza di stipulazione espressa, non è dovuto compenso per le variazioni o aggiunte se il prezzo dell'opera era stato globalmente determinato (art. 1659). E' parso infatti eccessivo richiedere la forma scritta ad substantiam per l'autorizzazione del committente, essendo sufficiente escludere per l'accertamento di essa l'ammissibilità della prova per testimoni; e d'altra parte è parso conforme alla realtà che, nel caso di determinazione globale del prezzo dell'opera, la modificazione di esso non consegua necessariamente all'autorizzazione di eseguire variazioni o aggiunte, dovendosi queste, in mancanza di una volontà contraria, ritenersi comprese nel prezzo convenuto. Quanto al secondo punto, basandosi sulla considerazione che a volte, per l'esecuzione dell'opera a regola d'arte, si rivela necessario apportare al progetto variazioni che possono incidere sostanzialmente sul costo e sulla struttura dell'opera, nuovo codice ha stabilito che, se le parti non si accordano, sarà il giudice che dovrà determinare le variazioni da apportare. Ma, appunto in considerazione dell'entità che queste variazioni possono assumere, ho attenuato le conseguenze pratiche della norma, accordando a entrambe le parti un diritto di recesso. L'esercizio del diritto di recesso da parte dell'appaltatore è subordinato al fatto che l'importo delle variazioni superi il sesto del prezzo complessivo convenuto (art. 1660, secondo comma), perchè è chiaro che al di là di un certo limite l'appaltatore può non avere l'attrezzatura sufficiente per il compimento delle nuove opere e può comunque risentire un pregiudizio. L'esercizio del diritto di recesso da parte del committente al di fuori della norma generale dell'art. 1671, è a sua volta subordinato al fatto che le variazioni siano di notevole entità (art. 1660, terzo comma), non potendosi costringere il committente a sopportare oneri non previsti nel contratto, la cui entità sia particolarmente notevole. In entrambi i casi il committente è tenuto a rimborsare l'appaltatore dell'importo dei lavori compiuti e a pagargli un indennizzo, la cui determinazione è affidata all'equo apprezzamento che, sulla base delle circostanze del caso concreto, il giudice farà. Infine si è concessa al committente la potestà di apportare unilateralmente variazioni al progetto, sempre che ciò non leda gli interessi dell'appaltatore, il quale avrebbe in astratto il diritto di tener fermo il contratto. Per attuare la conciliazione di questi interessi è stato stabilito che l'ammontare delle variazioni non può superare il sesto del prezzo complessivo convenuto e che l'appaltatore ha diritto al compenso per i maggiori lavori eseguiti anche se il prezzo dell'opera era stato determinato globalmente (art. 1661, primo comma). Ma se pure le variazioni siano contenute entro quel limite di valore, l'appaltatore non può essere obbligato ad eseguirle quando esse alterano notevolmente la natura dell'opera o i quantitativi delle singole categorie di lavori previsti dal contratto (art. 1661, secondo comma).

Massime relative all'art. 1660 Codice Civile

Cass. civ. n. 12882/2020

Se la realizzazione di un'opera arreca a terzi danni provocati non da una malaccorta esecuzione, bensì da un vizio del progetto fornito dal committente, sussiste la concorrente responsabilità risarcitoria dell'appaltatore e del committente stesso: il primo è tenuto al risarcimento quando, con la diligenza professionale ex art. 1176, comma 2, c.c., si sarebbe potuto avvedere del vizio progettuale e non l'abbia fatto; il secondo è sempre obbligato al risarcimento dei terzi danneggiati per aver ordinato l'esecuzione di un progetto malamente concepito. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che, con riferimento ai danni subiti da un fondo in conseguenza della realizzazione di un impianto di depurazione delle acque, aveva ravvisato la concorrente responsabilità dell'ente locale committente per aver approvato un progetto che si era rivelato inidoneo a impedire l'anomalo deflusso delle acque).

Cass. civ. n. 133/2020

In tema di appalto, per la determinazione dell'oggetto, non è necessario che l'opera sia specificata in tutti i suoi particolari, ma è sufficiente che ne siano fissati gli elementi fondamentali. Ne consegue che eventuali deficienze ed inesattezze riguardanti taluni elementi costruttivi non costituiscono causa di nullità, quando non siano rilevanti ai fini della realizzazione dell'opera e non ne impediscano l'agevole individuazione, nella sua consistenza qualitativa e quantitativa, mediante il ricorso ai criteri generali della buona tecnica costruttiva ed alle cd. regole d'arte, le quali devono adeguarsi alle esigenze e agli scopi cui l'opera è destinata.

Cass. civ. n. 15732/2018

L'obbligo di diligenza qualificata gravante sull'appaltatore, ai sensi dell'art. 1176, comma 2, c.c., si estrinseca nell'adeguato sforzo tecnico, con impiego delle energie e dei mezzi normalmente ed obiettivamente necessari od utili in relazione alla natura dell'attività esercitata, comprese le competenze tecniche funzionali al controllo ed alla correzione degli eventuali errori del progetto fornitogli dal committente, e tale obbligo è ancora più rigoroso qualora l'appaltatore svolga anche i compiti di ingegnere progettista e di direttore dei lavori, essendo in tal caso tenuto, in presenza di situazioni rivelatrici di possibili fattori di rischio, ad eseguire anche gli opportuni interventi per accertarne la causa e ad apprestare i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell'opera priva di difetti costruttivi.

Cass. civ. n. 10891/2017

In tema di appalto, le variazioni non previste nel progetto, ove strettamente necessarie per la realizzazione dell’opera, possono essere eseguite dall'appaltatore senza la preventiva autorizzazione del committente ma, in tal caso, ove manchi l’accordo tra le parti, spetta al giudice accertarne la necessità e determinare il corrispettivo delle relative opere, parametrandolo ai prezzi unitari previsti nel preventivo ovvero ai prezzi di mercato correnti.

Cass. civ. n. 9796/2011

Nel caso in cui il corrispettivo d'appalto, secondo un progetto che non preveda l'esecuzione di determinate opere, sia stato stabilito senza alcun riferimento alle opere ulteriormente sopravvenute e realizzate, il prezzo delle necessarie variazioni integrative, a meno che non risulti una contraria volontà delle parti, non può considerarsi compreso in quello previsto nell'appalto e, anche quando il progetto sia stato predisposto dall'appaltatore, deve essere determinato dal giudice ai sensi dell'art. 1660 c.c.

Cass. civ. n. 5632/1996

Le contestazioni circa la eventuale ineseguibilità del progetto o la necessità di variazioni, ai fini dell'esonero dell'appaltatore dalle responsabilità che la legge espressamente gli attribuisce, devono essere tempestivamente comunicate da questi direttamente al committente, e non al direttore dei lavori, atteso che costui, quale ausiliare del committente, ne assume la rappresentanza limitatamente alle sole materie strettamente tecniche.

Cass. civ. n. 3353/1993

Nel caso in cui il corrispettivo dell'appalto, secondo un progetto che non preveda l'esecuzione di determinate opere, imposte da disposizioni normative inderogabili (nella specie, travature di collegamento delle fondazioni in zona sismica), sia stato stabilito senza alcun riferimento alle predette opere, il prezzo delle necessarie variazioni integrative, a meno che non risulti una contraria volontà delle parti, non può considerarsi compreso in quello previsto nell'appalto e, anche quando il progetto sia stato predisposto dall'appaltatore, deve essere, pertanto, determinato dal giudice ai sensi dell'art. 1660 c.c.

Cass. civ. n. 1364/1979

La norma dell'art. 1660 c.c., che disciplina le variazioni necessarie al progetto dell'appalto, riguarda un'ipotesi di impossibilità dell'oggetto e costituisce espressione della volontà del legislatore di non attribuire uguale efficacia a qualsiasi ipotesi di impossibilità dell'oggetto, in quanto prevede, diversamente dall'art. 1672 c.c. (relativo all'impossibilità assoluta di conseguimento del risultato), che il contratto abbia esecuzione anche se il suo oggetto sia divenuto in parte impossibile, e ciò mediante l'introduzione delle necessarie varianti, i cui limiti le parti possono anche avere preventivamente determinato, e tale soluzione resta valida anche con riferimento ad un'impossibilità originaria, perché nulla vieta che le parti, con apposite clausole contrattuali, deroghino alla disciplina generale, prevedendo la possibilità di un mutamento parziale dell'oggetto al fine di renderlo possibile anche nell'eventualità che si riscontri un' impossibilità originaria di realizzazione del progetto.

Cass. civ. n. 5666/1978

La disciplina delle variazioni necessarie del progetto dell'opera appaltata, posta dall'art. 1660 c.c., contempla l'ipotesi in cui, durante l'esecuzione del contratto, sia necessario apportare variazioni al progetto, il cui costo è a carico del committente, non le ipotesi in cui la necessità di variazioni sia accertata dopo l'esecuzione del contratto e sia dovuta all'inadeguatezza dell'esecuzione stessa, in cui il costo delle opere è a carico dell'appaltatore a norma dell'art. 1668, primo comma, c.c.

Cass. civ. n. 3267/1971

La facoltà di recesso dell'appaltatore è prevista dal secondo comma dell'art. 1660 c.c., per il solo caso che si rendano necessarie all'esecuzione dell'opera variazioni del progetto eccedenti il sesto del corrispettivo totale dell'appalto. Invece, per variazioni non necessarie, che superino tale limite, l'art. 1661 c.c., attribuisce all'appaltatore soltanto la facoltà di rifiutarsi di eseguirle e di continuare l'esecuzione dell'opera secondo il progetto originario, ma non anche quella di recedere dal contratto.

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relative all'articolo 1660 Codice Civile

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Cliente chiede
domenica 14/04/2024
“Spett.le redazione, vi scrivo per chiedere un consiglio ai Vostri esperti.

Abito in un condominio dove, da Maggio a Novembre 2022, sono stati eseguiti dei lavori (a corpo) col Superbonus per circa 950.000 Euro.

E’ stato redatto un progetto con relativi computi metrici da un Progettista (nonché Direttore Lavori), conosciuto e presentatoci in assemblea dall’Appaltatore.

Il 10 Gennaio 2023, a lavori conclusi e durante l’assemblea straordinaria, l’Appaltatore è stato messo al corrente delle varie problematiche emerse in ogni singolo appartamento.

Nella stessa assemblea, è stato quindi richiesto un sopralluogo della Direzione Lavori, avvenuto in data 24 Gennaio 2023, per valutare le varie anomalie ed apportare le relative azioni correttive.

Con la convocazione dell’assemblea ordinaria, tenutasi in data 12 Giugno 2023, abbiamo ricevuta una lettera dell’Appaltatore del 19 Dicembre 2022 (quindi di circa sei mesi prima !!!) che riportava ulteriori lavori “EXTRA”, di cui non siamo mai stati informati, per un importo complessivo di 33.600 Euro + IVA.

NOTA BENE: questi lavori sono stati autorizzati e verbalizzati dal Direttore Lavori.

Su tutti i documenti di progetto in nostro possesso c’è però scritto che “Eventuali lavori, non contemplati nella presente offerta e che dovessero evidenziarsi perché richiesti o integrativi, dovranno essere preventivamente concordati ed autorizzati dal Committente e dalla Direzione Lavori”.

Ovviamente, in data 13 giugno 2023, avevo subito scritto al Direttore Lavori che mi rispose così:

”…in riferimento alla sua comunicazione mi scuso con il ritardo con cui la riscontro e mi corre l’obbligo segnalare che le competenze della direzione lavori e del progettista sono esclusivamente di natura tecnica. Durante le attività di cantiere sono state rilevate, nell’ occasione dei sopralluoghi svolti periodicamente per verificare l’andamento dei lavori, circostanze non prevedibili in fase progettuale che hanno comportato la necessità di ulteriori interventi. E’ circostanza frequente in particolare su interventi di manutenzione importante su immobili di non recente costruzione. Tali indicazioni di natura tecnica sono state puntualmente verbalizzate nei verbali di sopralluogo e trasferite all’ appaltatore per le attività del caso. Non è onere dello scrivente definire gli importi dei lavori e acquisire le relative autorizzazioni. Ritengo ad ogni buon conto opportuno segnalarle in particolare ed in merito al consolidamento delle murature che, se non eseguiti tempestivamente e con urgenza, avrebbero comportato una dilatazione del cronoprogramma dei lavori ed un possibile completamento del cantiere oltre i termini previsti per aderire alle detrazioni fiscali. Avremo sicuramente occasione di approfondire le tematiche nella prossima riunione condominiale”.

Nell’ultima assemblea condominiale, tenutasi il 13 marzo 2024, finalmente abbiamo ricevuto dall’Appaltatore l’ulteriore documentazione a supporto della sua richiesta (documentazione che avevamo comunque richiesto nella precedente assemblea del 12 giugno 2023).

In pratica ci sono stati dati solo copia dei verbali di sopralluogo ed autorizzazione del Direttore Lavori e qualche foto di cantiere.

Come condominio, abbiamo richiesto ulteriori 90 giorni per visionare tale documentazione.

A Giugno 2024, quindi, ci sarà la “resa dei conti”: se decideremo di non riconoscere nulla all’Appaltatore, quest’ultimo ci ha già detto che si rivolgerà ad un legale per tutelare i suoi interessi.

L’Amministratore, sostiene che di questi lavori ne avevamo comunque discusso nelle varie assemblee, anche antecedenti all’esecuzione dei lavori stessi ma, ovviamente, sui vari verbali non c’è traccia di tutto questo, né tantomeno nessuna autorizzazione e/o accettazione e/o approvazione da parte nostra sia dei lavori, sia degli importi esposti dall’Appaltatore dei quali siamo venuti a conoscenza, come già detto, solo il 12 giugno 2023.

Nel condominio, su 10 condòmini, solo in tre (di cui uno è lo stesso Appaltatore che ci abita) sono favorevoli a riconoscere queste spese mentre gli altri sette siamo contrari ed un po’ in ansia per le spese e/o implicazioni legali a cui andremo incontro.

Qual è il vostro punto di vista?

Ringrazio fin d’ora per il tempo che mi dedicherete e, confidando in una Vostra risposta, porgo distinti saluti.

Consulenza legale i 20/04/2024
La vicenda descritta presenta diversi spunti di riflessione in quanto la materia degli appalti si intreccia inevitabilmente con la disciplina del condominio.
In materia di appalto le norme che devono essere prese in considerazione sono gli art. 1659 e 1660 del c.c. Il primo articolo disciplina le c.d. varianti concordate e ci dice che l’appaltatore non può apportare varianti non autorizzate alle modalità di esecuzione dell’opera, se queste non vengono preventivamente autorizzate e concordate con il committente, ovvero il condominio. L’art. 1660 del c.c. disciplina le c.d. varianti necessarie: come principio generale, anche tali tipologie di varianti, devono essere concordate tra le parti, tuttavia, se questo accordo manca spetterebbe al giudice stabilire le tipologie di varianti da inserire e anche il relativo aumento di prezzo.

Basta la semplice lettura di queste due norme per capire come il codice civile non attribuisce all’appaltatore la possibilità di decidere unilateralmente le varianti da apportare all’opera e il relativo aumento del suo compenso.
Si tenga inoltre presente che ai sensi della normativa condominiale ogni variante, sia essa obbligatoria o facoltativa, dovrebbe essere autorizzata dalla assemblea ai sensi dell’ art. 1135 del c.c. che dovrebbe anche deliberare un aumento del fondo speciale previsto al n.4 della medesima norma.
A parere di chi scrive nella vicenda descritta il comportamento tenuto dal direttore dei lavori e dall’amministratore non è stato del tutto trasparente; la giustificazione di accelerare i tempi per rientrare nelle strette tempistiche dei bonus fiscali regge fino ad un certo punto.

Il compito del direttore dei lavori (esemplificando) è quello di rappresentare il committente nei confronti dell’appaltatore, e di vigilare sulla corretta esecuzione dell’opera da parte di quest’ ultimo, attività di vigilanza che è resa possibile proprio perché tale figura professionale possiede quelle competenze tecniche che solitamente mancano al committente. Uno dei suoi compiti è sicuramente quello di capire se i lavori necessitino di varianti obbligatorie affinché essi vengano eseguiti a regola d’arte e tempestivamente: ovviamente egli non può unilateralmente decidere il costo di tali varianti, ma deve informare tempestivamente il committente, il quale dovrà prendere le relative decisioni. Nel caso di lavori condominiali il direttore dei lavori avrebbe dovuto tempestivamente avvisare l’amministratore, il quale, a sua volta altrettanto repentinamente, avrebbe dovuto convocare i proprietari in assemblea affinché in quella sede si adottassero le conseguenti decisioni: questo non pare essere avvenuto e i condomini sono stati messi davanti ad un fatto compiuto: l’appaltatore ha presentato il conto di lavori eseguiti, ma non precedentemente concordati.

Appare quindi possibile che nella vicenda descritta vi possano essere diversi profili di responsabilità, sia nei confronti del direttore dei lavori, ma anche nei confronti dell’amministratore, che non ha certamente reso edotti del problema in tempi utili i suoi proprietari amministrati. Anche le pretese avanzate dall’appaltatore appaiono censurabili, in quanto egli ha apportato una variante ai lavori con conseguente aumento dei costi non concordato con il condominio: in un ipotetico contenzioso, quindi, vi potrebbero essere delle buone argomentazioni a sostegno delle ragioni dei condomini.
Vi è da dire però che tutti i profili di responsabilità che si sono accennati non possono essere ulteriormente argomentati in questa sede, in quanto questo necessiterebbe un miglior approfondimento della vicenda con l’analisi dei documenti inerenti i lavori commissionati.

È opportuno però chiudere il parere con un ulteriore riflessione. Se questi lavori erano effettivamente necessari per permettere una tempestiva esecuzione dell’opera entro gli strettissimi termini richiesti dalla normativa superbonus (circostanza questa che dovrebbe essere verificata con l’ausilio di un direttore dei lavori diverso da quello che ha finora seguito il cantiere), la loro mancata realizzazione avrebbe impedito di poter usufruire della agevolazione fiscale, con il rischio per i proprietari di dover sopportare di tasca loro l’intero costo della ristrutturazione.