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Articolo 1659 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Variazioni concordate del progetto

Dispositivo dell'art. 1659 Codice Civile

(1)L'appaltatore non può apportare variazioni alle modalità convenute dell'opera se il committente non le ha autorizzate.

L'autorizzazione si deve provare per iscritto.

Anche quando le modificazioni sono state autorizzate, l'appaltatore, se il prezzo dell'intera opera è stato determinato globalmente, non ha diritto a compenso per le variazioni o per le aggiunte, salvo diversa pattuizione(2).

Note

(1) La norma si riferisce alle variazioni non necessarie, in quanto quelle necessarie sono disciplinate dall'art. 1660 del c.c..
(2) Se, invece, il prezzo è pattuito a misura, allo stesso modo si dovranno calcolare le variazioni.

Ratio Legis

L'appaltatore è tenuto ad eseguire l'opera in base al progetto del committente (o del progettista): pertanto, non può apportarvi unilateralmente variazioni non necessarie.
Il terzo comma si spiega considerando che se il prezzo dell'opera è stato determinato a forfait, si presume che le parti abbiano inteso attribuire all'appaltatore il vantaggio ovvero, anche, lo svantaggio derivanti da possibili variazioni.

Spiegazione dell'art. 1659 Codice Civile

Le variazioni e le aggiunte concetti generali

Per quanto possano essere ben studiati i progetti, e per quanto l' esecuzione delle opere private comporti una specie di ripetizione meccanica di elementi costruttivi, tuttavia né questa può concepirsi spinta al punto di paragonare come oggetti costruiti in serie il compimento dei vari appalti, né lo studio dei progetti si può ritenere qualcosa di talmente perfetto da non consentire, in corso d'opera, alcuna sua modifica.

Le variazioni e le aggiunte si incontrano tanto nei pubblici appalti quanto nei privati, e quello che è augurabile è che siano contenute nella minore misura possibile, sia per non sconvolgere le basi tecniche ed economiche dell' appalto come per evitare litigi, che, in ultima analisi, si risolvono in un danno per le due parti contraenti.
Posto questo primo concetto, è da aggiungere che condizione pregiudiziale in tema di variazioni ed aggiunte si è che esse non alterino l'essenza stessa del contratto. Così non si può pretendere la costruzione di uno stabilimento industriale come variante a chi appaltò una casa di civile abitazione, per quanto, per fasi intermedie si può giungere a casi ed a discussioni che investono delicate questioni di ordine tecnico e giuridico. Così, per restare nell'esempio addotto, se la casa era progettata in modo da potere essere ugualmente adibibile ad abitazione privata o ad albergo, costituisce variante accettabile l'eseguire in corso d'opera quegli adattamenti richiesti per dare alla casa l'una o l'altra destinazione definitiva, a seconda delle sopravvenute necessità del committente, e così trasformarla in albergo se si era cominciato a costruirla per abitazione privata e viceversa. Ma se invece da casa privata la si vuol trasformare in edificio industriale, con rifacimento di mura, con necessità di più robuste fondazioni e così via, non possiamo certo considerare i nuovi lavori come una variante di quelli iniziati. Tutto questo detto in linea generale, perché nei casi concreti, può influire anche l'apprezzamento delle parti, specie in relazione all' importanza delle varianti ed alla necessità di adoperare o meno mezzi d'opera diversi o più costosi di quelli precedentemente ammanniti.

Lo stesso è da dire per le aggiunte: esse possono alterare l'essenza stessa del contratto, non solo per quel che concerne l'importo, ma anche quando si debba ritenere che non siano della stessa natura delle opere appaltate. Comunque anche per le aggiunte può essere influente la volontà delle parti: così, se nella costruzione di un edificio, il committente ha scorporato gli appalti, può benissimo affidare come aggiunte all'imprenditore del rustico la fornitura degli infissi, quella degli impianti sanitari e così via, benché quel dato imprenditore non sia specialista delle forniture aggiunte.

In tema di opere pubbliche, l'Abbello ha dato un esempio il quale dimostra che vi può essere mutazione dell'essenza del contratto pur senza variazione del concetto dell'opera. "Si supponga che, nella costruzione di un ponte, il corso di un fiume o di un torrente venga addirittura a spostarsi, obbligando a costruire le opere completamente modificate, con un tracciato diverso da quello progettato. Non per questo l'oggetto del contratto cessa di essere la costruzione di un ponte su un determinato fiume o torrente; ma tuttavia non si potrà negare che la base sostanziale del contratto e anche del lavoro, è radicalmente mutata".
Nei contratti privati non sapremmo trovare un esempio così calzante: comunque in condizioni analoghe si può ritenere mutata l'essenza del contratto.


Il concordamento scritto

Il codice esige che le varianti e le aggiunte risultino da atto scritto. Nel progetto ministeriale del 1940, al corrispondente art. 648 l'inciso "l'autorizzazione si deve provare per iscritto" era sostituito dalla frase "se il committente non lo ha autorizzato nella stessa forma usata nella conclusione del contratto". Questa frase, a dire il vero, poteva prestarsi ad equivoci, perché mentre forse nella mente dei redattori era rivolta a permettere per le varianti ed aggiunte concordamenti verbali quando l'appalto era stato conferito verbalmente, nella sua rigida interpretazione poteva portare alla conseguenza di dovere esigere l'atto in forma pubblica quando con tale forma si fosse stipulato il contratto di appalto: ciò sarebbe stato eccessivo, specie se le varianti o le aggiunte non fossero state di gran mole rispetto all'entità del contratto principale. Il testo attuale lascia alle parti maggiore libertà nello scegliere la forma con la quale il committente deve manifestare il suo consenso per le varianti e aggiunte, e quindi basta anche una semplice lettera e non occorre la formalità dell'atto pubblico o anche della scrittura privata registrata.

L'atto scritto è dunque di rigore, ma mentre per i pubblici appalti è assoluto e solo in caso di estrema urgenza si può ammettere una iniziativa dell'appaltatore che deve essere prontamente ratificata, negli appalti privati vi possono essere casi che impongono la necessità di varianti. L'ipotesi e prevista nel successivo art. 1660.


Le variazioni e le aggiunte nei contratti a corpo

Tutto il ragionamento sin qui condotto, non incontra, all'atto pratico, soverchie difficoltà o non ne incontra affatto, quando siamo in presenza di contratti a misura, perché mentre per le aggiunte si può agevolmente intendere una maggiore contabilizzazione, per le varianti i criteri dedotti in contratto o nuovi ed analoghi criteri tecnici soccorrono a risolvere il problema ed a superare le difficoltà. Se non che mentre per i pubblici appalti, per i quali esiste una minuta regolamentazione, i contratti a misura rappresentano la normalità, in tema di lavori privati è consueto il contrario, vale a dire il contratto a corpo, per la più pronta semplicità di stipulazione e di liquidazione, rappresenta il tipo maggiormente in uso. Il codice del 1865 aveva presente il contratto a corpo, si può dire in modo esclusivo e dettava le norme che abbiamo anche prescritte, le quali sono di un rigore pressoché estremo. Il codice attuale mantiene il rigore per i contratti a corpo, appunto perché è possibile l' elusione del prezzo globale sotto il pretesto delle varianti ed aggiunte ed esige quindi l' espressa pattuizione, così come l' esigeva il codice precedente.
In proposito sorgono due problemi, che si presentano anche nel campo delle opere pubbliche, e cioè il primo se sia ammissibile l'eventualità di varianti ed aggiunte nei contratti a corpo e il secondo, ammessa tale eventualità, come si possa addivenire alla pattuizione di concordamento della liquidazione delle varianti ed aggiunte.

Ex prima facie dovrebbe dirsi che nei contratti a corpo dovrebbe essere esclusa qualsiasi ipotesi di aumento o di diminuzione e quindi come l'eventuale aumento di opere, anche sotto forma di variante più onerosa, va a carico dell'assuntore, così la diminuzione è a suo vantaggio. Ma questa soluzione che appare semplice, è troppo semplicista e va spesso ad urtare contro difficoltà pratiche gravissime, senza dire che la sua adozione potrebbe portare ad un indebito arricchimento od a un ingiusto danno per l'appaltatore oltre la misura tollerabile del rischio dell'appalto. Le cause che provocano varianti ed aggiunte possono essere molteplici, obiettive e subiettive e per quanto bene sia studiato un progetto, possono sempre sorgere difficoltà o necessità non previste che rendano assolutamente necessaria l'adozione di una variante ovvero di opere addizionali.

Senza entrare in maggiori dettagli, possiamo senz'altro concludere che per quanto la questione, specie nei pubblici appalti, abbia per molto tempo tormentato la mente di scrittori, tribunali e collegi arbitrali, tuttavia si è finito col riconoscere che anche nei contratti a corpo può occorrere la necessità di varianti ed aggiunte e che la remora più efficace contro eventuali abusi dell'assuntore è quella dell'accordo preventivo.
Qui nasce l'esame del secondo punto della questione, vale a dire indagare il modo come giungere a simile accordo preventivo. Mancando un elenco di prezzi unitari, occorre procedere o per divisione per parti, istituendo perciò calcoli proporzionali se ed in quanto possibili, ovvero procedendo analogicamente, istituendo quindi appositi calcoli atti a determinare il costo delle varianti e delle aggiunte. Questo secondo metodo, non scevro di difficoltà ha in sè insito il pericolo di trasformare il contratto a corpo in contratto a misura, con la conseguenza non motto lieta per il committente di vedere posto in discussione il precedente accordo globale.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

473 Sono note le controversie che si sono avute sull'interpretazione dell'articolo 1640 a proposito delle variazioni e delle aggiunte apportate dall'appaltatore al progetto dell'opera concordato con il committente; sono pure noti gli sforzi fatti dalla giurisprudenza per attenuare il rigore della norma.
L'articolo 514 del progetto della Commissione reale aveva mantenuto il principio dell'art. 1640, rimettendo però al giudice la determinazione delle modificazioni necessarie per l'esecuzione dell'opera.
Ho creduto opportuno distinguere le due ipotesi (art. 537) ponendo anzitutto il principio che le modificazioni del progetto devono essere autorizzate dal committente nella stessa forma usata nella conclusione del contratto. Mi è parso infatti eccessivo richiedere il requisito della forma scritta ad substantiam nei casi in cui contratto l'appalto sia stato stipulato solo verbalmente, perché se è vero che il requisito di forma è imposto il codice per una fondamentale esigenza di certezza, tuttavia non si può negare che per contratti di piccola entità, per i quali le parti spesso si limitano ad una conclusione verbale, quel requisito di forma può comunque dar luogo a situazioni inique.
Il progetto non determinava, come invece faceva il codice, se e quando l'appaltatore avesse diritto a compenso per le modificazioni autorizzate. Perciò, integrando la disposizione, ho stabilito che la semplice autorizzazione delle modificazioni importa diritto dell'appaltatore al pagamento se il corrispettivo dell'opera è fissato per partite o in funzione della misura, mentre se il corrispettivo è a forfait il diritto dell'appaltatore al pagamento delle variazioni o delle aggiunte è condizionato all'esistenza di un'apposita stipulazione.
Sembra infatti conforme alla realtà che nel caso di determinazione globale del prezzo la modificazione di esso non consegue necessariamente l'autorizzazione di eseguire variazioni o aggiunte, dovendosi queste, in mancanza di una volontà contraria, ritenersi compresa nel prezzo convenuto.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

702 In modo del tutto nuovo gli art. 1659 del c.c. e art. 1661 del c.c. regolano il problema delle variazioni al progetto dell'opera, problema che l'art. 1640 del codice del 1165 considerava da un solo profilo. Nel nuovo codice si distinguono le variazioni concordate dalle parti, le variazioni necessarie e quelle richieste esclusivamente dal committente. Sul primo punto, risolvendosi una questione agitata per il vecchio codice, si stabilisce che l'autorizzazione del committente all'esecuzione delle modificazioni deve essere provata per iscritto e che, in mancanza di stipulazione espressa, non è dovuto compenso per le variazioni o aggiunte se il prezzo dell'opera era stato globalmente determinato (art. 1659). E' parso infatti eccessivo richiedere la forma scritta ad substantiam per l'autorizzazione del committente, essendo sufficiente escludere per l'accertamento di essa l'ammissibilità della prova per testimoni; e d'altra parte è parso conforme alla realtà che, nel caso di determinazione globale del prezzo dell'opera, la modificazione di esso non consegua necessariamente all'autorizzazione di eseguire variazioni o aggiunte, dovendosi queste, in mancanza di una volontà contraria, ritenersi comprese nel prezzo convenuto. Quanto al secondo punto, basandosi sulla considerazione che a volte, per l'esecuzione dell'opera a regola d'arte, si rivela necessario apportare al progetto variazioni che possono incidere sostanzialmente sul costo e sulla struttura dell'opera, nuovo codice ha stabilito che, se le parti non si accordano, sarà il giudice che dovrà determinare le variazioni da apportare. Ma, appunto in considerazione dell'entità che queste variazioni possono assumere, ho attenuato le conseguenze pratiche della norma, accordando a entrambe le parti un diritto di recesso. L'esercizio del diritto di recesso da parte dell'appaltatore è subordinato al fatto che l'importo delle variazioni superi il sesto del prezzo complessivo convenuto (art. 1660, secondo comma), perchè è chiaro che al di là di un certo limite l'appaltatore può non avere l'attrezzatura sufficiente per il compimento delle nuove opere e può comunque risentire un pregiudizio. L'esercizio del diritto di recesso da parte del committente al di fuori della norma generale dell'art. 1671, è a sua volta subordinato al fatto che le variazioni siano di notevole entità (art. 1660, terzo comma), non potendosi costringere il committente a sopportare oneri non previsti nel contratto, la cui entità sia particolarmente notevole. In entrambi i casi il committente è tenuto a rimborsare l'appaltatore dell'importo dei lavori compiuti e a pagargli un indennizzo, la cui determinazione è affidata all'equo apprezzamento che, sulla base delle circostanze del caso concreto, il giudice farà. Infine si è concessa al committente la potestà di apportare unilateralmente variazioni al progetto, sempre che ciò non leda gli interessi dell'appaltatore, il quale avrebbe in astratto il diritto di tener fermo il contratto. Per attuare la conciliazione di questi interessi è stato stabilito che l'ammontare delle variazioni non può superare il sesto del prezzo complessivo convenuto e che l'appaltatore ha diritto al compenso per i maggiori lavori eseguiti anche se il prezzo dell'opera era stato determinato globalmente (art. 1661, primo comma). Ma se pure le variazioni siano contenute entro quel limite di valore, l'appaltatore non può essere obbligato ad eseguirle quando esse alterano notevolmente la natura dell'opera o i quantitativi delle singole categorie di lavori previsti dal contratto (art. 1661, secondo comma).

Massime relative all'art. 1659 Codice Civile

Cass. civ. n. 40122/2021

In tema di appalto, il regime probatorio delle variazioni dell'opera muta, a seconda che le stesse siano dovute all'iniziativa dell'appaltatore ovvero a quella del committente; mentre nel primo caso, infatti, l'art. 1659 c.c. richiede che le modifiche siano autorizzate dal committente e che l'autorizzazione risulti da atto scritto "ad substantiam", nel secondo, invece, l'art. 1661 c.c. consente all'appaltatore, secondo i principi generali, di provare con tutti i mezzi consentiti, incluse le presunzioni, che le variazioni sono state richieste dal committente.

Cass. civ. n. 32828/2021

In tema di variazioni eseguite autonomamente dall'appaltatore, fermo restando il principio di cui all'art. 1659 c.c. che vieta all'appaltatore di utilizzare materiali o forme diverse da quelle previste, ancorché di maggior pregio, costui non può sostituirsi al committente nella scelta delle modalità esecutive idonee a caratterizzare l'opera a lui commissionata secondo quanto manifestato dallo stesso committente al momento della conclusione del contratto, considerato che la norma citata presidia la conformità del risultato alle aspettative di questo ultimo. Nondimeno, può escludersi l'illiceità della variazione allorché questa, secondo il prudente apprezzamento del giudice, rivesta scarsa rilevanza rispetto alla prestazione dedotta in contratto.

Cass. civ. n. 32989/2019

In tema di appalto, il regime probatorio delle variazioni dell'opera muta a seconda che queste ultime siano dovute all'iniziativa dell'appaltatore o a quella del committente poiché, nel primo caso, l'art. 1659 c.c. richiede che le modifiche siano autorizzate dal committente e che l'autorizzazione risulti da atto scritto "ad substantiam", mentre, nel secondo, l'art. 1661 c.c. consente, secondo i principi generali, all'appaltatore di provare con tutti i mezzi consentiti, ivi comprese le presunzioni, che le variazioni sono state richieste dal committente. (Nella specie, sul presupposto che la disciplina contrattuale ricalcava quella del codice civile agli artt. 1659 e 1661 c.c., la S.C. ha cassato con rinvio la pronuncia nella corte d'appello che si era limitata a prendere atto della mancanza di autorizzazione scritta, mentre avrebbe dovuto verificare se le variazioni fossero state o meno autorizzate dalla committente e assumere al riguardo le prove ritualmente dedotte dall'appellante). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO MILANO, 29/04/2015).

Cass. civ. n. 19099/2011

In tema di appalto, il regime probatorio delle variazioni dell'opera muta a seconda che queste ultime siano dovute all'iniziativa dell'appaltatore o a quella del committente; nel primo caso, l'art. 1659 c.c. richiede che le modifiche siano autorizzate dal committente e che l'autorizzazione risulti da atto scritto "ad substantiam", nel secondo, invece, l'art. 1661 c.c. consente, secondo i principi generali, all'appaltatore di provare con tutti i mezzi consentiti, ivi comprese le presunzioni, che le variazioni sono state richieste dal committente.

Cass. civ. n. 2723/1993

Nel contratto d'appalto, il committente ha diritto di ottenere l'opera realizzata con le modalità costruttive previste nel contratto e nel capitolato, in difetto di modifiche al progetto concordate tra le parti (salva la particolare disciplina per le variazioni necessarie), e, pertanto, può pretendere l'eliminazione delle varianti introdotte dall'appaltatore, anche se queste non importino una diminuzione di valore dell'opera o in ipotesi ne comportino aumento.

Cass. civ. n. 5935/1991

In tema di appalto, qualora le modifiche aggiuntive al progetto siano di tale natura ed importanza da potersi considerare oggetto di un nuovo contratto di appalto, separato ed indipendente dal primo, non trovano applicazione le limitazioni probatorie di cui all'art. 1659 c.c., e l'autorizzazione del committente può essere desunta ed accertata con qualsiasi mezzo di prova ed anche in via presuntiva.

Cass. civ. n. 4911/1983

Il diritto dell'appaltatore al compenso supplementare ex art. 1661, primo comma, c.c., per variazioni al progetto ordinate dal committente, postula la dimostrazione della consistenza e del costo delle opere inizialmente pattuite, in quanto solo se a seguito delle variazioni risultino opere di costo maggiore trova fondamento la pretesa inerente a tale supplemento, sicché, ai fini della liquidazione di questo, non è sufficiente l'accertamento di una eccedenza del costo delle opere realmente compiute rispetto al prezzo pattuito globalmente, ma occorre, invece, che l'eccedenza sussista tra il costo delle opere inizialmente pattuite ed il costo di quelle realmente eseguite. L'onere di provare l'entità ed il costo sia delle opere eseguite a seguito delle variazioni, che delle opere progettate, incombe sull'appaltatore, con la conseguenza che, in mancanza di detta prova, il supplemento suindicato non può essere attribuito. 

Cass. civ. n. 3967/1980

Nel contratto d'appalto qualora il committente richieda variazioni al progetto il cui ammontare ecceda il sesto del prezzo complessivo pattuito, l'appaltatore non è tenuto ad eseguirle, ma ove abbia accettato di compierle si realizza un'ipotesi di concordata modifica dei patti origirari, e l'appaltatore ha diritto soltanto al maggior compenso per gli ulteriori lavori eseguiti, e non al risarcimento di danni, non configurandosi alcun inadempimento del committente.

Cass. civ. n. 106/1980

Il regime probatorio delle variazioni dell'opera appaltata muta a seconda che queste ultime siano dovute all'iniziativa dell'appaltatore o del committente: nel primo caso, l'art. 1659 c.c. richiede che le modifiche siano autorizzate dal committente e che l'autorizzazione debba risultare da atto scritto ad substantiam; nel secondo, invece, l'art. 1661 c.c. consente, secondo i principi generali, all'appaltatore di provare con tutti i mezzi consentiti, ivi comprese le presunzioni, che le variazioni sono state richieste dal committente.

Cass. civ. n. 1296/1977

La norma del secondo comma dell'art. 1659 c.c., per cui deve essere provata per iscritto l'autorizzazione del committente alle variazioni apportate dall'appaltatore al progetto dell'opera, riguarda le variazioni e modificazioni alle modalità di esecuzione dell'opera che l'appaltatore intenda apportare di propria iniziativa, non quelle da lui eseguite a richiesta del direttore dei lavori, a cui sia contrattualmente attribuito il potere di autorizzare variazioni al progetto iniziale dell'opera.

Cass. civ. n. 2431/1972

Mentre la dimostrazione che le variazioni e le modificazioni delle opere formanti oggetto del contratto di appalto furono ordinate dal committente può essere data dall'appaltatore con ogni mezzo di prova consentito dalla legge, in ordine alle variazioni o modificazioni apportate di sua iniziativa dall'appaltatore alle modalità di esecuzione delle opere l'art. 1659 c.c. richiede che l'appaltatore dia la prova scritta di tale autorizzazione del committente, poiché egli tende, in sostanza, a dimostrare le variazioni concordate. Tale prova per iscritto non è ad substantiam, ma soltanto ad probationem, sicché essa può essere fornita dall'appaltatore anche mediante la confessione del committente.

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Cliente chiede
domenica 14/04/2024
“Spett.le redazione, vi scrivo per chiedere un consiglio ai Vostri esperti.

Abito in un condominio dove, da Maggio a Novembre 2022, sono stati eseguiti dei lavori (a corpo) col Superbonus per circa 950.000 Euro.

E’ stato redatto un progetto con relativi computi metrici da un Progettista (nonché Direttore Lavori), conosciuto e presentatoci in assemblea dall’Appaltatore.

Il 10 Gennaio 2023, a lavori conclusi e durante l’assemblea straordinaria, l’Appaltatore è stato messo al corrente delle varie problematiche emerse in ogni singolo appartamento.

Nella stessa assemblea, è stato quindi richiesto un sopralluogo della Direzione Lavori, avvenuto in data 24 Gennaio 2023, per valutare le varie anomalie ed apportare le relative azioni correttive.

Con la convocazione dell’assemblea ordinaria, tenutasi in data 12 Giugno 2023, abbiamo ricevuta una lettera dell’Appaltatore del 19 Dicembre 2022 (quindi di circa sei mesi prima !!!) che riportava ulteriori lavori “EXTRA”, di cui non siamo mai stati informati, per un importo complessivo di 33.600 Euro + IVA.

NOTA BENE: questi lavori sono stati autorizzati e verbalizzati dal Direttore Lavori.

Su tutti i documenti di progetto in nostro possesso c’è però scritto che “Eventuali lavori, non contemplati nella presente offerta e che dovessero evidenziarsi perché richiesti o integrativi, dovranno essere preventivamente concordati ed autorizzati dal Committente e dalla Direzione Lavori”.

Ovviamente, in data 13 giugno 2023, avevo subito scritto al Direttore Lavori che mi rispose così:

”…in riferimento alla sua comunicazione mi scuso con il ritardo con cui la riscontro e mi corre l’obbligo segnalare che le competenze della direzione lavori e del progettista sono esclusivamente di natura tecnica. Durante le attività di cantiere sono state rilevate, nell’ occasione dei sopralluoghi svolti periodicamente per verificare l’andamento dei lavori, circostanze non prevedibili in fase progettuale che hanno comportato la necessità di ulteriori interventi. E’ circostanza frequente in particolare su interventi di manutenzione importante su immobili di non recente costruzione. Tali indicazioni di natura tecnica sono state puntualmente verbalizzate nei verbali di sopralluogo e trasferite all’ appaltatore per le attività del caso. Non è onere dello scrivente definire gli importi dei lavori e acquisire le relative autorizzazioni. Ritengo ad ogni buon conto opportuno segnalarle in particolare ed in merito al consolidamento delle murature che, se non eseguiti tempestivamente e con urgenza, avrebbero comportato una dilatazione del cronoprogramma dei lavori ed un possibile completamento del cantiere oltre i termini previsti per aderire alle detrazioni fiscali. Avremo sicuramente occasione di approfondire le tematiche nella prossima riunione condominiale”.

Nell’ultima assemblea condominiale, tenutasi il 13 marzo 2024, finalmente abbiamo ricevuto dall’Appaltatore l’ulteriore documentazione a supporto della sua richiesta (documentazione che avevamo comunque richiesto nella precedente assemblea del 12 giugno 2023).

In pratica ci sono stati dati solo copia dei verbali di sopralluogo ed autorizzazione del Direttore Lavori e qualche foto di cantiere.

Come condominio, abbiamo richiesto ulteriori 90 giorni per visionare tale documentazione.

A Giugno 2024, quindi, ci sarà la “resa dei conti”: se decideremo di non riconoscere nulla all’Appaltatore, quest’ultimo ci ha già detto che si rivolgerà ad un legale per tutelare i suoi interessi.

L’Amministratore, sostiene che di questi lavori ne avevamo comunque discusso nelle varie assemblee, anche antecedenti all’esecuzione dei lavori stessi ma, ovviamente, sui vari verbali non c’è traccia di tutto questo, né tantomeno nessuna autorizzazione e/o accettazione e/o approvazione da parte nostra sia dei lavori, sia degli importi esposti dall’Appaltatore dei quali siamo venuti a conoscenza, come già detto, solo il 12 giugno 2023.

Nel condominio, su 10 condòmini, solo in tre (di cui uno è lo stesso Appaltatore che ci abita) sono favorevoli a riconoscere queste spese mentre gli altri sette siamo contrari ed un po’ in ansia per le spese e/o implicazioni legali a cui andremo incontro.

Qual è il vostro punto di vista?

Ringrazio fin d’ora per il tempo che mi dedicherete e, confidando in una Vostra risposta, porgo distinti saluti.

Consulenza legale i 20/04/2024
La vicenda descritta presenta diversi spunti di riflessione in quanto la materia degli appalti si intreccia inevitabilmente con la disciplina del condominio.
In materia di appalto le norme che devono essere prese in considerazione sono gli art. 1659 e 1660 del c.c. Il primo articolo disciplina le c.d. varianti concordate e ci dice che l’appaltatore non può apportare varianti non autorizzate alle modalità di esecuzione dell’opera, se queste non vengono preventivamente autorizzate e concordate con il committente, ovvero il condominio. L’art. 1660 del c.c. disciplina le c.d. varianti necessarie: come principio generale, anche tali tipologie di varianti, devono essere concordate tra le parti, tuttavia, se questo accordo manca spetterebbe al giudice stabilire le tipologie di varianti da inserire e anche il relativo aumento di prezzo.

Basta la semplice lettura di queste due norme per capire come il codice civile non attribuisce all’appaltatore la possibilità di decidere unilateralmente le varianti da apportare all’opera e il relativo aumento del suo compenso.
Si tenga inoltre presente che ai sensi della normativa condominiale ogni variante, sia essa obbligatoria o facoltativa, dovrebbe essere autorizzata dalla assemblea ai sensi dell’ art. 1135 del c.c. che dovrebbe anche deliberare un aumento del fondo speciale previsto al n.4 della medesima norma.
A parere di chi scrive nella vicenda descritta il comportamento tenuto dal direttore dei lavori e dall’amministratore non è stato del tutto trasparente; la giustificazione di accelerare i tempi per rientrare nelle strette tempistiche dei bonus fiscali regge fino ad un certo punto.

Il compito del direttore dei lavori (esemplificando) è quello di rappresentare il committente nei confronti dell’appaltatore, e di vigilare sulla corretta esecuzione dell’opera da parte di quest’ ultimo, attività di vigilanza che è resa possibile proprio perché tale figura professionale possiede quelle competenze tecniche che solitamente mancano al committente. Uno dei suoi compiti è sicuramente quello di capire se i lavori necessitino di varianti obbligatorie affinché essi vengano eseguiti a regola d’arte e tempestivamente: ovviamente egli non può unilateralmente decidere il costo di tali varianti, ma deve informare tempestivamente il committente, il quale dovrà prendere le relative decisioni. Nel caso di lavori condominiali il direttore dei lavori avrebbe dovuto tempestivamente avvisare l’amministratore, il quale, a sua volta altrettanto repentinamente, avrebbe dovuto convocare i proprietari in assemblea affinché in quella sede si adottassero le conseguenti decisioni: questo non pare essere avvenuto e i condomini sono stati messi davanti ad un fatto compiuto: l’appaltatore ha presentato il conto di lavori eseguiti, ma non precedentemente concordati.

Appare quindi possibile che nella vicenda descritta vi possano essere diversi profili di responsabilità, sia nei confronti del direttore dei lavori, ma anche nei confronti dell’amministratore, che non ha certamente reso edotti del problema in tempi utili i suoi proprietari amministrati. Anche le pretese avanzate dall’appaltatore appaiono censurabili, in quanto egli ha apportato una variante ai lavori con conseguente aumento dei costi non concordato con il condominio: in un ipotetico contenzioso, quindi, vi potrebbero essere delle buone argomentazioni a sostegno delle ragioni dei condomini.
Vi è da dire però che tutti i profili di responsabilità che si sono accennati non possono essere ulteriormente argomentati in questa sede, in quanto questo necessiterebbe un miglior approfondimento della vicenda con l’analisi dei documenti inerenti i lavori commissionati.

È opportuno però chiudere il parere con un ulteriore riflessione. Se questi lavori erano effettivamente necessari per permettere una tempestiva esecuzione dell’opera entro gli strettissimi termini richiesti dalla normativa superbonus (circostanza questa che dovrebbe essere verificata con l’ausilio di un direttore dei lavori diverso da quello che ha finora seguito il cantiere), la loro mancata realizzazione avrebbe impedito di poter usufruire della agevolazione fiscale, con il rischio per i proprietari di dover sopportare di tasca loro l’intero costo della ristrutturazione.