Il momento della prestazione. I vari modi di fissazione del dies solutionis
Perché possa dirsi adempiuta, la prestazione deve essere eseguita non soltanto
esattamente nel contenuto, ma anche
puntualmente, vale a dire nel momento stabilito, ossia alla scadenza, poiché il ritardo o l'anticipo del tempo comporta una modifica della sua entità che, nella prima ipotesi, ricade sul creditore, e nella seconda pregiudica il debitore. Di qui l'importanza dell'istituto del termine, di cui ora si dirà.
Il termine, che incide non sull'obbligazione, ma solo sul suo
adempimento, può essere:
a) esplicito, cioè fissato dalle parti in virtù dell'autonomia negoziale che, entro certi limiti, la legge riconosce alla volontà del privato;
b) implicito, cioè risultare dagli stessi elementi del negozio costitutivo dell'obbligazione, ovvero dal modo o dal luogo dell'esecuzione;
c) stabilito dalla legge;
d) fissato dal giudice su istanza di chi dimostra di avervi interesse;
e) non determinato nè dalle parti nè dalla legge nè dal giudice.
Il termine può essere o indicato da entrambe le parti, cioè in seguito a loro accordo o rimesso alla determinazione unilaterale di una di esse, e cioè: 1) del debitore; 2) del creditore. Ora, mentre sulla determinazione contrattuale nulla vi è da osservare, occorre, invece, soffermarsi sulle altre due ipotesi.
1) Se la determinazione del termine dell'adempimento è rimessa al
debitore, essa può esserlo con riguardo alla sua volontà (
cum voluerit), o possibilità (
cum potuerit) di effettuare la prestazione.
La clausola
cum voluerit — conosciuta dal diritto romano che, per mezzo di Paolo, aveva dichiarato nulla la stipulazione, e che venne poi variamente interpretata dai commentatori — era prevista dal codice del 1865 che, nell'art. 1173 cpv., consentiva al giudice di stabilire per l'adempimento dell'obbligo con scadenza
in potestate debitoris un termine conveniente. L'art. 1183, comma 1, enuncia un identico principio, ma all'aggettivo conveniente sono sostituiti i termini secondo le circostanze, anche se sostanzialmente i termini sono identici.
La ripetizione dell'art. 1173 cpv. risolve una
questione dibattutasi sotto l'abrogato articolo, e cioè se l'autorità giudiziaria poteva fissare il termine anche durante la vita del debitore, in contrasto, si diceva, con il contenuto della clausola
cum voluerit o se, piuttosto, il suo intervento doveva ritenersi consentito soltanto dopo la morte del debitore e, quindi, operativo di efficacia nei confronti degli eredi di costui.
È vero, però, che già l'art. 1173 veniva esattamente interpretato nel senso che non potendo la clausola
cum voluerit essere intesa come differimento facoltativo sino alla morte del debitore dell'adempimento dell'obbligo, spettava al giudice fissare, secondo le circostanze del caso, quel termine che il debitore si rifiutava di stabilire.
Della clausola
cum potuerit invece anche il nuovo codice, come quello del 1865, tace: sembra, però, che essa vada disciplinata sul paradigma dell'altra, anche perché una diversa soluzione consentirebbe al debitore di sottrarsi all'obbligo dell'adempimento. Una conferma di tale ricostruzione viene data dal cpv. dell’
art. 1817 del c.c. che, ipotizzando apposta ad un contratto di mutuo la clausola in discorso, stabilisce: «
se è stato convenuto che il mutuatario paghi quando potrà, il termine per il pagamento è pure fissato dal giudice ». Analoghe considerazioni vanno fatte per la clausola «
cum commodus erit» (cioè senza disagio), in cui fanno sentire il loro peso le condizioni sociali del debitore.
2) L' ipotesi della determinazione del
termine per l'adempimento rimessa alla volontà del debitore è nuova: di essa, infatti, non si occupava il codice del 1865. L’attuale art. 1183 stabilisce che qui il termine può essere fissato, da parte dell'autorità giudiziaria, su istanza del debitore che voglia liberarsi dall'obbligo. L'azione accordata al debitore si fonda sul diritto che la legge gli riconosce di vedere eliminata l'incertezza del tempo in cui deve adempiere, non diversamente dal creditore, cioè ha diritto di ottenere che sia certo il tempo dell'adempimento quando questo è rimesso alla volontà del debitore.
b) Del termine implicito si dirà
sub e).
c) Oltre che dalle parti, come si è visto, il termine può essere stabilito dalla legge: questa allora fissa, per determinati negozi, il momento in cui deve essere effettuata la prestazione. Ne deriva l’ inapplicabilità delle norme di cui innanzi si è discorso, le quali presuppongono un termine convenzionale.
d) L'ipotesi di un termine fissato dal giudice su domanda di chi provi di avervi interesse non richiede particolare analisi.
e) L'ipotesi che nè dalle parti nè dalla legge sia stato fissato un termine va studiata a seconda che:
- un termine sia necessario o in virtù o per influsso degli usi o si possa desumere dalla natura del negozio, cioè dalla funzione economico-sociale cui esso normalmente adempie. In questo caso, in mancanza del termine, troverebbe applicazione il principio generale — già enunciato in diritto romano, per cui «
in omnibus obligationibus in quibus dies non ponitur, praesenti die debetur », cioè «
quando non sia apposto un termine l'obbligazione deve subito eseguirsi » — e mantenuto dall'art. 1183, comma 1 (che però rispetto all’articolo abrogato presenta un ambito più ristretto, in quanto non considera l'immediatezza della prestazione solo
a parte debitoris, che faceva necessariamente supporre una contemporanea ed automatica costituzione in mora di questo, mentre, a tal fine, la legge richiedeva una formale
intimatio), ma enuncia la facoltà del creditore di esigere immediatamente la prestazione. Si noti, tuttavia, come l’ esercizio di tale facoltà possa essere neutralizzato dalla necessità, per gli usi o per la natura della prestazione o per il modo o per il luogo dell'esecuzione, di un termine: questo, allora, sarà fissato o di accordo dalle parti, oppure dall'autorità giudiziaria su istanza della parte che provi di avervi interesse.
- se è la funzione economico-sociale del negozio a richiedere un termine per l'esecuzione, questo segnerà il momento in cui la prestazione deve essere effettuata.
Computo del termine
Il termine fissato dalle parti, dalla legge o dal giudice nelle ipotesi ora considerate è computato a norma dell’
art. 2963 del c.c.. Il sistema positivo, in tale materia, così stabilisce: l'adempimento della prestazione può essere domandato solo
quando il dies finale (dies ad quem) sia interamente decorso, il che vuol dire solo nel giorno seguente a quello fissato. Questa computazione civile (prolungativa) consiste nel considerare il giorno quale unità di tempo, da data a data (
ex nominatione dierum), diversamente dalla computazione naturale (o di esattezza matematica) in cui si procede
a momento in momentum. Non valgono, perciò, nel nostro diritto nè la regola romana del
dies coeptus pro completo habetur, nè il sistema eccezionalmente adottato dal codice del 1865 in tema di prescrizione, che si fondava sulla numerazione dei giorni necessari a comporre il mese (art. 2133).
Viene poi esplicitamente enunciata la massima — già accolta, però, dalla dottrina nel silenzio del codice del 1865 — secondo cui
nel termine non si deve computare il giorno iniziale (
dies a quo non computatur in termino). Se l'ultimo giorno del termine è festivo, esso viene prorogato di diritto al giorno seguente non festivo: così stabilisce l’
art. 2963 del c.c., che con disposizione nuova ma correlata alle analoghe sancite dal codice di procedura (
art. 155 del c.p.c.) e dalla legge cambiaria (articoli 43 e 51), distingue tra
tempus continuum e
tempus utile. Si noti, tuttavia, che tale proroga è possibile solo se: a) il giorno festivo sia l'ultimo giorno del termine, perché resta sempre fermo il principio che i giorni festivi si computano nel decorso del termine; b) non vi sono usi diversi, i quali prevalgono sulle disposizioni affatto tassative ma meramente suppletive dettate dal codice in materia di obbligazioni.
L'intera disciplina legislativa del computo del termine è, poi,
derogabile per contraria espressa pattuizione (ult. cpv. art. 1187) e, sebbene il codice non lo precisi, anche dagli
usi.
L'ipotesi che un termine sia stato stabilito non in un giorno determinato del calendario, ma in uno spazio entro cui deve essere adempiuta la prestazione, non è prevista dal codice: sembra comunque che, in tal caso, al debitore debba riconoscersi la facoltà di scegliere il giorno e di attendere l’ ultimo di quelli compresi nel periodo convenuto.
II termine presunto stipulato a favore del debitore
La legge presume che il termine sia
stipulato a favore del debitore, pertanto mentre il debitore può attendere sino alla sua scadenza sua, il creditore non può esigere la prestazione prima di questa. Tale principio è enunciato dall'
art. 1184 del c.c. che, pur ispirato all’abrogato art. 1175, è, tuttavia, più corretto per la sua ampiezza, in quanto si riferisce a qualsiasi rapporto obbligatorio suscettibile di un termine, diversamente dall'art. 1175 che, per il modo con cui era formulato, sembrava essere ristretto solo alle obbligazioni contrattuali.
La presunzione dell'
adiectio temporis gratia prornissoris non essendo
iuris et de iure può essere
eliminata quando risulti che il termine sia stato convenzionalmente stabilito a favore del creditore (ipotesi questa non prevista dal vecchio art. 1175 che, anzi, sembrava escluderla in quanto lasciava ritenere che il termine potesse essere stipulato solo a favore del debitore e del creditore) o di entrambe le parti o legalmente a beneficio di queste stesse (art. 46 l. cambiaria). Sul modo di accertare la deroga alla presunzione, l’
art. 1184 del c.c. non dice nulla: il corrispondente articolo abrogato limitava la possibilità della prova contraria perché questa la faceva scaturire solo dalla stipulazione o dalle circostanze del negozio. Nel silenzio del nuovo articolo la prova che il termine è stato stabilito a favore del debitore è quindi regolata dai principi generali.
Poiché l'esecuzione dell'obbligo è differita nell'interesse del creditore ne deriva
che il debitore non ha titolo per invocare il beneficio dell'intero termine che è stato fissato non per agevolare l'adempimento, ma
per esigenze proprie del creditore, le quali non possono modificare l'obbligo del debitore che quindi dovrà tenersi pronto ad adempiere appena il creditore gliene faccia domanda.
Anche se il termine è o presunto (
art. 1184 del c.c.) o stabilito (convenzionalmente) a favore del creditore, nulla vieta che il debitore possa adempiere e l’altra parte accettare la prestazione prima della scadenza del termine (arg. ex articoli
1184 e
1185).
Effetti del termine
L'effetto principale del termine sta, come già si è accennato, nel
prefissare l'inizio o la cessazione dell'efficacia di un rapporto giuridico da o ad un dato giorno. Questo concetto vale anche per il nuovo codice, a nulla rilevando il fatto che qui non sia stato mantenuto il vecchio art. 1172 in cui, considerandosi solo il termine nelle obbligazioni, si chiariva che «
il termine apposto alle obbligazioni differisce dalla condizione in questo, che non sospende l'obbligazione, ma ne ritarda solo l'esecuzione ».
Ricadute di questa funzione del termine sono:
a) la facoltà per il titolare del diritto al termine di
adottare le opportune cautele di conservazione;
b) il
divieto fatto al creditore
di esigere la prestazione prima della scadenza del termine, salvo che questo non sia stabilito esclusivamente a suo favore. Questo divieto e sancito dal primo comma dell'art.
1185, che corrisponde all'art. 1174 prima parte dell’abrogato codice: l'eccezione è nuova e si spiega osservando che, essendo il termine stabilito ad esclusivo vantaggio del creditore, da un lato questi può domandare, anche prima della sua scadenza, l'adempimento dell'obbligo e, dall'altro, che il debitore non ha alcun titolo per chiedere la restituzione di quanto ha pagato;
c)
la irripetibilità di ciò che il debitore ha prestato prima della scadenza del termine: in tal senso l'art.
1185 cpv. corrisponde, sotto questo punto di vista, all'art. 1174 del codice del 1865. Viene quindi negato al creditore un diritto ad esigere la prestazione prima della scadenza del termine a meno che, come si è detto, questo sia stabilito esclusivamente a suo favore, pertanto l'art.
1185 non consente al debitore di ripetere quanto abbia prestato prima della scadenza del termine, poiché egli doveva pur sempre la prestazione, quest’ultima era certa e ne era differita solo l'esecuzione.
Tale irripetibilità non cessa neppure nel caso in cui il debitore avesse ignorato l'esistenza del termine: sin qui l’art. 1185 e l'art. 1174 abrogato sono sostanzialmente conformi. L’
innovazione del primo sul secondo sta nell'aver quello risolta la vecchia
questione se colui che aveva effettuato una prestazione anticipatamente per
errore (ignorando, cioè, il termine) potesse domandare l
' interusurium, vale a dire la differenza tra il valore che aveva la prestazione eseguita in anticipo ed il valore che la stessa prestazione avrebbe avuto se fosse stata effettuata alla scadenza del termine. La dottrina si era espressa per la ripetibilità dell
' interusurium considerando che il creditore
se suum recipit, ha conseguito cioè dall'anticipata esecuzione un lucro che per lui è un arricchimento indebito a danno del debitore, e che non si può presumere in questi per l'anticipata prestazione una rinuncia al suo maggior valore economico. Ed è proprio tale motivo a costituire il presupposto della facoltà di ripetere che l'
art. 1185 del c.c. riconosce a chi abbia anticipato l'adempimento per errore sull'esistenza del termine: questa norma costituisce quindi un'applicazione del principio generale oggi enunciato dall’
art. 2041 del c.c..
Le altre
due cause di questo effetto consistono o nella diminuzione di qualsiasi
garanzia — personale o reale — concessa dal debitore al creditore tanto prima quanto dopo la costituzione del vincolo obbligatorio, o nella mancata prestazione delle garanzie promesse.
Oltre a tali condizioni oggettive, la legge esige un altro requisito di natura soggettiva: l'
imputabilità del fatto al debitore. È infatti questo il significato del termine «
per fatto proprio », da cui deriva la giusta osservazione critica per cui se la diminuzione delle garanzie offerte dal debitore o se l’ 'impossibilità per costui di fornire le garanzie promesse dipende da caso fortuito, l'art.
1186 non può essere applicato: il che non vuol dire pregiudizio dei diritti del creditore, poiché questi, non potendo invocare l’
art. 1186 del c.c., domanderà altri mezzi di garanzia del suo diritto.
La decadenza dal termine, pur operando in virtù di legge, tuttavia deve
risultare da una sentenza che abbia una funzione meramente dichiarativa: il giudice non può infatti modificare d’ufficio gli effetti delle cause previste dall’ art.
1186, nè ritardandoli, mediante proroga o dilazione del termine a favore del debitore, nè sia spostandoli dal momento in cui si verificano.