Il caso ha preso avvio dalla
domanda di
risarcimento per danni da cose in custodia ai sensi dell'art.
2051 c.c. proposta dal cliente di un albergo nei confronti della struttura, per essere caduto mentre scendeva le scale dell’edificio. Il
giudice di pace di Taranto aveva rigettato la domanda e la
sentenza era stata confermata anche dal
tribunale, in qualità di
giudice di
appello.
Quest’ultimo, in particolare, aveva confermato che non vi fosse alcuna prova del fatto che la caduta dell’uomo fosse stata provocata da un malposizionamento della moquette che rivestiva la scala dell’albergo, in quanto la
testimonianza dell’unico teste, la moglie del danneggiato, non sembrava attendibile; la stessa parte attrice, poi, nella descrizione dei fatti, non era stata in grado di riferire circa l’irregolare posizionamento della moquette e non aveva negato che l’illuminazione fosse stata tale da permettergli di vedere chiaramente il pavimento. Al Tribunale era piuttosto parso che la caduta fosse stata determinata da una disattenzione dell’uomo nello scendere le scale, e quindi da
caso fortuito.
Il danneggiato aveva perciò proposto
ricorso in Cassazione, lamentando la
violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art.
360, comma 1, n. 3, c.p.c., poiché il Tribunale aveva ravvisato la sussistenza del caso fortuito anche se questo non era mai stato eccepito e dedotto dalla controparte e quindi aveva pronunciato oltre i limiti della domanda, in contrasto con quanto stabilito dall’art.
112 c.p.c. Il
ricorrente, inoltre, sosteneva che il Tribunale non avesse considerato provato il fatto che il
danno fosse stato provocato da un vizio di progettazione e dalla mancata manutenzione delle scale imputabili all’albergo.
La Cassazione si è pronunciata con l’
ordinanza n. 6383/2020, dichiarando
inammissibile il ricorso. Secondo la Suprema Corte, la violazione dell’art.
112 c.p.c. è stata dedotta in modo assolutamente generico, poiché per integrare il vizio di ultrapetizione non basta la mancata deduzione dell’
eccezione da parte della controparte, ma è necessario che il
giudice pronunci
oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni proposte dalle parti, oppure su
questioni estranee all’oggetto del giudizio e non rilevabili d’
ufficio.
Diversamente, al di fuori di questi casi, il giudice, nell’esercizio della sua potestas decidendi, rimane libero “non solo d'individuare l'esatta natura dell'azione e di porre a base della pronuncia adottata considerazioni di diritto diverse da quelle all'uopo prospettate, ma anche di rilevare, indipendentemente dall'iniziativa della controparte, la presenza o la mancanza degli elementi che caratterizzano l'efficacia costitutiva od estintiva di una data pretesa della parte, in quanto ciò attiene all'obbligo inerente all'esatta applicazione della legge”.