Il caso riguardava la conclusione di un
contratto di
vitalizio alimentare tra una nonna e sua nipote, con cui quest’ultima si impegnava nell'
assistenza morale e materiale della nonna, la quale in cambio le aveva ceduto la
nuda proprietà della sua
abitazione.
Quattro anni dopo la conclusione del contratto, però, la nonna aveva chiesto la risoluzione del contratto in ragione del fatto che la nipote aveva delegato le proprie incombenze alla madre, figlia dell’anziana signora.
La
domanda era stata accolta in
primo grado, ma la Corte d’
appello aveva riformato la
decisione, negando la sussistenza dell'
inadempimento, considerati la similarità dei rapporti tra madre e figlia e il fatto che nel frattempo la nipote avesse trovato un lavoro.
Era stato così proposto
ricorso in Cassazione, la quale si è pronunciata con l’
ordinanza n. 108/2020, accogliendo, con rinvio, il ricorso degli eredi della nonna.
La Corte ha evidenziato che il contratto atipico di "vitalizio alimentare" si differenzia da quello, tipico, di "
rendita vitalizia" (di cui all’art.
1872 c.c.)
“anche per la natura accentuatamente spirituale delle prestazioni a favore del vitaliziato, le quali, proprio per tale ragione, sono eseguibili unicamente da un vitaliziante specificatamente individuato, alla luce delle sue proprie qualità personali”. Si tratta, infatti, di un
contratto intuitu personae che, in quanto tale, è basato sul carattere tipicamente "personale" della
prestazione dedotta ad oggetto.
La Cassazione ha poi rilevato che nel contratto in questione non era presente alcuna previsione sulla fungibilità della persona del vitaliziante, la quale, pertanto, non poteva essere sostituita da un altro soggetto. Una sostituzione, del resto, si porrebbe in contrasto col principio dell'infungibilità del vitaliziante.
Alla luce di queste considerazioni, la Suprema Corte, nel rinviare la causa ai giudici d’appello, ha enunciato i seguenti
principi di diritto:
"Nel contratto atipico di "vitalizio alimentare" le prestazioni a favore del vitaliziato possono essere eseguite, in difetto di diversa pattuizione, unicamente dal vitaliziante contrattualmente individuato";
"Nel giudizio avente ad oggetto domanda di risoluzione del contratto atipico di "vitalizio alimentare" per inadempimento del vitaliziante, quest'ultimo deve soltanto provare la fonte negoziale del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento".