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Successione, da oggi il testamento rimane valido anche se frutto di pressioni o influenze familiare: nuova sentenza

Successione, da oggi il testamento rimane valido anche se frutto di pressioni o influenze familiare: nuova sentenza
La Corte di Cassazione chiarisce che, per annullare un testamento per dolo, non bastano pressioni o influenze familiari, ma serve la prova di un inganno fraudolento idoneo a falsare la volontà del testatore
Nel delicato terreno delle successioni ereditarie, una delle questioni più frequenti e controverse riguarda l’annullamento del testamento per dolo. Le dinamiche familiari, la fragilità delle persone in età avanzata e i rapporti con alcuni congiunti alimentano spesso il sospetto che le ultime volontà del testatore siano il frutto di pressioni indebite, suggestioni o vere e proprie manipolazioni. Al riguardo, è importante capire fino a che punto l’influenza esercitata su una persona anziana sia idonea a tradursi in un vizio giuridicamente rilevante della volontà.

A questa domanda ha risposto la Corte di Cassazione, Sezione II civile, con l’ordinanza 15 dicembre 2025, n. 32707, ribadendo che non bastano insistenze, sollecitazioni o blandizie per ottenere l’annullamento di un testamento, ma occorre la prova rigorosa dell’uso di mezzi fraudolenti, idonei a trarre in inganno il testatore e a determinare una volontà non spontanea.

La controversia trae origine dalla successione di una donna, deceduta in età molto avanzata (96 anni), che aveva redatto un testamento olografo con il quale disponeva dei propri beni in modo non conforme alle aspettative di una delle figlie. Quest’ultima agiva in giudizio dinanzi al Tribunale di Sciacca chiedendo l’annullamento del testamento, sostenendo che la volontà della madre fosse stata viziata da una condotta di captazione posta in essere dal fratello e, indirettamente, anche dai nipoti.
Secondo l’attrice, il testamento non sarebbe stato il frutto di una decisione libera e consapevole, ma il risultato di pressioni psicologiche, sollecitazioni insistenti e di una gestione ritenuta “dannosa” del patrimonio materno da parte del fratello. A sostegno delle proprie tesi, l’attrice aveva invocato prove testimoniali e valorizzato alcuni elementi fattuali, quali la modifica delle precedenti disposizioni testamentarie e le condizioni personali della de cuius negli ultimi anni di vita.

Il Tribunale di Sciacca, con sentenza del 7 luglio 2016, rigettava la domanda, rilevando la genericità delle allegazioni e la mancata prova di una specifica ipotesi di dolo idonea a incidere sulla validità del testamento. In particolare, il giudice di primo grado evidenziava che le “pressioni” asserite da parte attrice non si traducevano in veri e propri mezzi fraudolenti e che la grafia del testamento non presentava anomalie significative, se non quelle riconducibili all’età avanzata della testatrice.
La figlia soccombente proponeva appello, ma la Corte d’Appello di Palermo dichiarava l’impugnazione inammissibile, ritenendo che l’atto di gravame non contenesse una critica puntuale e argomentata delle ragioni poste a fondamento della decisione di primo grado, limitandosi a riproporre, in modo assertivo, le stesse doglianze già disattese. Contro tale pronuncia ricorreva per cassazione.

Con l’ordinanza n. 32707 del 2025, la Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, soffermandosi, da un lato, sui requisiti di ammissibilità dell’appello; dall’altro, sulla nozione di dolo rilevante ai fini dell’annullamento del testamento, ai sensi dell’art. 624 del c.c..
Sotto il primo aspetto, la Corte ribadisce che l’appello, pur non richiedendo formule sacramentali né un “progetto alternativo di sentenza”, deve comunque contenere una chiara individuazione delle parti della decisione impugnate e una confutazione specifica delle argomentazioni del primo giudice. Nel caso di specie, la ricorrente non aveva nè indicato in modo puntuale le prove non considerate o valutate male, né spiegato perché le conclusioni del Tribunale sarebbero state giuridicamente errate. Da qui la correttezza della decisione della Corte d’Appello.

La Cassazione inoltre ha richiamato un principio ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità, per cui il dolo testamentario non si identifica con una generica influenza psicologica esercitata sul testatore. Non è sufficiente dimostrare che un familiare abbia insistito, suggerito o sollecitato determinate scelte, neppure quando il testatore sia anziano o emotivamente fragile. Affinchè si possa parlare di dolo, occorre la prova dell’impiego di mezzi fraudolenti, cioè di comportamenti idonei a creare nel testatore false rappresentazioni della realtà, tali da orientarne la volontà in una direzione che egli non avrebbe spontaneamente seguito.

La Corte sottolinea come questa valutazione debba essere condotta tenendo conto dell’età, dello stato di salute e delle condizioni psicologiche del testatore, ma senza equiparare la semplice pressione morale alla frode. Solo in presenza di patologie particolarmente incisive e capaci di compromettere la capacità di autodeterminazione, la valutazione dell’idoneità dei mezzi fraudolenti impiegati può essere maggiormente elastica. Anche in tali casi, però, è necessario dimostrare un inganno doloso.
Nel caso di specie, le prove che la ricorrente considerava decisive erano in realtà idonee a dimostrare una semplice pressione da parte del figlio sulla madre, ma non una vera e propria coartazione della volontà tale da giustificare l’annullamento del testamento.


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