Andare in ferie, soprattutto dopo periodi di lavoro molto stressanti, è un toccasana per il lavoratore. Si tratta di una vera necessità e, soprattutto, di un diritto costituzionalmente garantito.
Difatti, ex art.
36, comma 3 della Costituzione, il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.
Le ferie sono fondamentali per il recupero delle energie psicofisiche del lavoratore e, difatti, qualora quando si è già in ferie insorga malattia, le ferie rimangono sospese, proprio perché l'insorgenza di problematiche di salute è incompatibile con le finalità di riposo del lavoratore.
Il lavoratore in vacanza, lo ricordiamo, deve essere regolarmente retribuito, mentre, nel caso di assenza per malattia, spetta un'indennità.
Recentemente, però, la Cassazione si è trovata ad affrontare una questione relativa alla retribuzione del lavoratore in ferie, ossia se allo stesso spetti lo stesso stipendio o uno stipendio minore.
Nel caso in esame alla Suprema Corte, alcuni lavoratori, con la qualifica di macchinisti, avevano proposto ricorso dinanzi al Tribunale, per ottenere l’accertamento del diritto al computo nella retribuzione dovuta durante le ferie anche dei compensi spettanti a titolo di incentivo per attività di condotta oraria e di attività di riserva, previsti dal contratto aziendale, nonché dei compensi correlati all'assenza dalla residenza, prevista dal contratto aziendale.
I lavoratori si erano visti dare ragione sia in primo grado sia in secondo grado e la società datrice di lavoro era stata condannata a pagare gli importi dovuti a ciascun dipendente.
In particolare, il giudice di appello aveva accertato che la retribuzione erogata durante il servizio fosse comprensiva delle indennità variabili richieste, mentre, nella retribuzione corrisposta durante le ferie, era stata inclusa la parte fissa prevista dal contratto e l'indennità di turno dello stesso contratto, ma non gli altri compensi, nonostante questi fossero collegati alla prestazione delle attività proprie previste dal CCNL come lavoro effettivo.
Di conseguenza, la società datrice di lavoro aveva proposto ricorso in Cassazione.
Sulla questione si è pronunciata quindi la Sezione Lavoro della Corte, con l'ordinanza n. 35146 del 15 dicembre 2023.
In particolare, la Corte, richiamando anche precedenti giurisprudenziali, ha sottolineato che la Corte di giustizia dell'Unione europea ha inteso garantire al lavoratore in ferie una situazione, a livello retributivo, equiparabile a quella ordinaria, erogata nei periodi di lavoro.
Questo perché, se il lavoratore in ferie ricevesse una retribuzione inferiore, sarebbe così dissuaso dall'esercizio del proprio diritto alle ferie, e ciò in contrasto con gli intenti dell'UE, interessata ad assicurare ai lavoratori un riposo effettivo.
La Corte di Cassazione, quindi, ha richiamato i principi espressi dalla Corte di giustizia, ricordando che le sentenze della Corte UE, che chiariscono il significato e i limiti di applicazione delle norme comunitarie, hanno un'efficacia vincolante e prevalente sull'ordinamento nazionale.
Ebbene, secondo la Suprema Corte, nei precedenti gradi di giudizio, il giudice di merito si era conformato ai principi comunitari in materia, secondo cui la retribuzione dovuta nel periodo di ferie annuali dovesse comprendere qualsiasi importo in rapporto di collegamento all'esecuzione delle mansioni e correlato allo status personale e professionale del lavoratore.
Tali importi, collegati all'esecuzione delle mansioni e correlati allo status personale e professionale del lavoratore, devono essere compresi, come affermato dalla Cassazione, parimenti nell'indennità spettante in caso di mancato godimento delle ferie.
Quindi, dallo stipendio erogato al lavoratore in ferie, non vanno eliminate voci economiche, altrimenti ciò avrebbe un effetto dissuasivo, portando il lavoratore a non esercitare il diritto al riposo costituzionalmente garantito.
La Corte di Cassazione ha rilevato che le norme aziendali che regolano gli istituti di cui era stata chiesta l'inclusione nella retribuzione erogata durante le ferie erano state interpretate in linea con le finalità della direttiva comunitaria di assicurare al lavoratore un compenso che non lo dissuada dall'esercizio del diritto alle ferie.
Sull'idoneità o meno della mancata erogazione di tali compensi ad integrare una diminuzione della retribuzione che sia da deterrente per il lavoratore alla fruizione delle ferie, la Suprema Corte ha precisato che tale valutazione va effettuata dal giudice di merito.
Ha quindi respinto il ricorso della società datrice di lavoro.
Questa pronuncia costituisce un'ottima notizia per i lavoratori che, quindi, potranno esercitare tranquillamente il loro diritto alle ferie, sapendo che la retribuzione loro spettante non può essere inferiore a quella dovuta nel periodo di lavoro.