A tale scopo, può essere utile, innanzitutto, leggere quanto previsto dall'art. 1117 del c.c., il quale fornisce un elenco dettagliato di quelle che devono essere considerate “parti comuni dell’edificio”, e cioè:
“1) tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune, come il suolo su cui sorge l'edificio, le fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici solari , le scale, i portoni di ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e le facciate;
2) le aree destinate a parcheggio nonché i locali per i servizi in comune, come la portineria, incluso l'alloggio del portiere, la lavanderia, gli stenditoi e i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all'uso comune;
3) le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all'uso comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l'energia elettrica, per il riscaldamento ed il condizionamento dell'aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche”.
La Corte di Cassazione ha recentemente fornito dei chiarimenti per quanto riguarda il “sottosuolo” sul quale sorge l’edificio condominiale (sentenza n. 6154 del 2016).
Nel caso specifico, un condominio aveva citato in giudizio la società che utilizzava un locale posto al pianterreno dell’edificio condominiale, in virtù di un contratto di leasing, la quale aveva iniziato dei lavori di scavo nel sottosuolo senza chiedere e ottenere l’autorizzazione del condominio stesso.
Sia il giudice di primo grado che quello di secondo grado accoglievano le richieste del condominio, motivando questa decisione in base a quanto stabilito dal regolamento condominiale, espressamente accettato da tutti i condomini, che, all’art. 2, prevedeva che “costituiscono proprietà comune in modo inalienabile e indivisibile a tutti i condomini e devono essere mantenuti efficienti a spese comuni il terreno sul quale sorgono gli edifici, le foro fondazioni, strutture portanti, il cortile”.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello, quindi, concludevano nel senso che il sottosuolo doveva considerarsi come “bene comune”.
La società decide, pertanto, di proporre ricorso per Cassazione, la quale conferma che il sottosuolo dell’edificio condominiale deve ritenersi “bene comune”, dal momento che lo stesso si trova in un rapporto di accessorietà con il condomino stesso.
Osserva la Corte, infatti, che, non solo il regolamento condominiale stabilisce che il terreno è di proprietà comune, ma anche lo stesso art. 1117 c.c. ricomprende tra i beni comuni proprio “il suolo su cui sorge l’edificio”.
Precisa la Cassazione, infatti, come questa disposizione dell’art. 1117 c.c. “implica che il sottosuolo, costituito dalla zona esistente in profondità al di sotto dell’area superficiaria che è alla base dell’edificio (…) va considerato di proprietà condominiale in mancanza di un titolo, che ne attribuisca la proprietà esclusiva ad uno dei condomini”.
Di conseguenza, secondo la Corte, deve trovare applicazione il principio già espresso dalla Cassazione in precedenti sentenze, in base al quale “nessun condomino può, senza il consenso degli altri partecipanti alla comunione, procedere all'escavazione in profondità del sottosuolo per ricavarne nuovi locali o per ingrandire quelli preesistenti, in quanto, attraendo la cosa comune nell'orbita della sua disponibilità esclusiva, verrebbe a ledere il diritto di proprietà degli altri partecipanti su una parte comune dell'edificio, privandoli dell'uso e del godimento ad essa pertinenti (Cass. civ., 13.07.2011, n. 15383; Cass. civ., 2.03.2010, n. 4965; Cass. civ., 24.10.2006, n. 22835; Cass. civ., 27.07.2006, n. 17141; Cass. civ., 9.03.2006, n. 5085; Cass. civ., 28.04.2004, n. 8119; Cass. civ., 18.03.1996, n. 2295; Cass. civ., 23.12.1994, n. 11138; Cass. civ., 11.11.1986, n. 6587)”.
Infatti, se il condomino, senza il consenso degli altri, procede ad effettuare dei lavori di scavo nel sottosuolo condominiale, finirebbe con “l’attrarre la cosa comune nell’ambito della disponibilità esclusiva” del condomino stesso, come se il medesimo ne avesse acquistato la proprietà esclusiva.