La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 2532 del 31 gennaio 2017 si è occupata proprio di un caso di questo tipo, fornendo alcune interessanti precisazioni sul punto.
Nel caso esaminato dalla Corte un condomino si era rivolto al proprio amministratore di condominio, chiedendogli di conoscere i criteri per l’utilizzazione delle aree esterne che risultavano occupate da automobili in sosta.
Il condomino aveva così scoperto che alcuni condomini avevano concesso in locazione le porzioni di area esterna di loro competenza ad un determinato soggetto, che occupava, appunto, le aree esterne dell’edificio.
Dopo aver avanzato le proprie rimostranze agli altri condomini, questi rispondevano sostenendo di essere proprietari di tale aree e che, quindi, il condomino in questione non poteva avanzare nessuna pretesa.
A questo punto, il condomino decideva di agire in giudizio nei confronti dei condomini che avevano concesso in locazione le aree scoperte di loro proprietà, chiedendo che tale contratto di locazione venisse dichiarato nullo o invalido, in quanto stipulato senza il consenso del condomino attore, parimenti comproprietario delle aree stesse.
L’attore chiedeva, inoltre, il risarcimento del danno subito per l'uso del bene comune e per l’illecito atto di disposizione del bene stesso.
Il Tribunale di Napoli, pronunciatosi in primo grado, rigettava la domanda del condomino attore, condannandolo al pagamento delle spese di giudizio.
La sentenza di primo grado veniva confermata in grado d’appello, in quanto la Corte riteneva che l’attore non avrebbe dimostrato il diritto di cui affermava essere titolare.
Ritenendo la pronuncia ingiusta, il condomino procedeva, dunque, ad impugnare mediante ricorso per Cassazione la sentenza di secondo grado, lamentando la violazione dell’art. 1117, n. 1, cod. civ., in quanto la Corte d’appello, “nel ritenere che l'area scoperta destinata a verde non risultava nell'elencazione dei beni comuni e/o di uso comune di cui all'art. 1117 c.c., non avrebbe tenuto conto che per costante giurisprudenza nell'espressione "cortile" di cui dell'art. 1117 c.c., comma 1, sarebbero ricompresi gli spazi liberi esterni al fabbricato e tra essi le aree scoperte annesse destinate a verde”.
La Corte di Cassazione riteneva, in effetti, di dover aderire alle argomentazioni del ricorrente.
Osservava la Corte, infatti, che “il cortile, tecnicamente, è l'area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica di un edificio o di più edifici, che serve a dare luce e aria agli ambienti circostanti”.
Tuttavia, proseguiva la Cassazione, il termine “cortile”, in considerazione della sua “funzione di dare aria e luce agli ambienti, che vi prospettano”, deve intendersi in senso ampio, comprendendo tale parola anche “i vari spazi liberi disposti esternamente alle facciate dell'edificio - quali gli spazi verdi, le zone di rispetto, le intercapedini, i parcheggi - che, sebbene non menzionati espressamente nell'art. 1117 c.c., vanno ritenute comuni a norma della suddetta disposizione”. (Cass. n. 7889 del 09/06/2000).
Precisava la Corte, inoltre, come la comunione condominiale dei beni di cui all’art. 1117 c.c. deve ritenersi “presunta”, con la conseguenza che tale presunzione può essere superata solo mediante la prova di un “di un titolo contrario, che si identifica nella dimostrazione della proprietà esclusiva del bene in capo ad un soggetto diverso”.
Nel caso di specie, dunque, la Corte d’appello avrebbe dovuto accertare “l'eventuale sussistenza di un titolo contrario che escludesse la natura condominiale del bene di cui si dice e/o attributiva della proprietà dello stesso bene ad uno a più soggetti”.
Poiché, invece, la Corte d’appello non aveva proceduto, nel caso di specie, a tale accertamento, la Corte di Cassazione giungeva alla conclusione di dover accogliere accogliere l’impugnazione proposta dal ricorrente, rinviando la causa alla Corte d’appello, affinché la medesima decidesse nuovamente sulla questione, in base ai principi sopra indicati.