La vicenda riguardava un soggetto
condannato a 4 anni di
reclusione per
corruzione, nei confronti del quale il P.M. aveva, inizialmente, emesso ordine di esecuzione per la carcerazione e contestuale
sospensione ma, successivamente, una volta
entrata in vigore la recente
legge 3/2019 (nota come “Spazzacorrotti”), aveva
revocato tali provvedimenti, in ragione del fatto che tale legge ha inserito i delitti dei
pubblici ufficiali contro la
pubblica amministrazione all’interno del catalogo dei reati per i quali non è possibile concedere i benefici previsti dall'art.
4 bis della legge sull'ordinamento penitenziario.
Successivamente, il
giudice dell'esecuzione aveva disposto l'
annullamento di tale
revoca, sostenendo che le norme che disciplinano l'esecuzione delle
pene detentive e le
misure alternative alla detenzione non hanno natura di norme sostanziali e quindi non devono essere assoggettate alle regole in materia di successione delle leggi nel tempo ex art.
2 c.p., ma piuttosto al principio
tempus regit actum. Dal momento che l'ordine di esecuzione e la contestuale sospensione erano stati emessi prima della nuova legge Spazzacorrotti, questi dovevano considerarsi emessi nel rispetto della normativa in quel momento vigente.
Il
Procuratore della Repubblica ricorreva così in Cassazione, sostenendo che la revoca era stata determinata dalla sopravvenuta inclusione dei delitti dei pubblici ufficiali contro la p.a. all’interno del novero dei
reati ostativi di cui all'art.
4 bis della legge sull'ordinamento penitenziario.
La
Corte di Cassazione, con
sentenza n. 48499/2019, ha inizialmente chiarito che
“l'ordine di esecuzione, il decreto di sospensione e la domanda di misura alternativa, sono attività processuali funzionalmente collegate, in una sequenza processuale necessaria e inscindibile” e pertanto la
fattispecie complessa che si genera secondo la normativa vigente al momento dell’emissione dell’ordine di esecuzione
“produce poteri e facoltà nella sfera dell'esecutando che non possono essere unilateralmente modificati o sottratti attraverso interventi postumi, sia pur assunti in forza di quadri normativi sopravvenuti, ma privi di regole transitorie”.
Dunque, la Corte afferma che “le sopravvenute modifiche normative non possono applicarsi ai rapporti esecutivi oramai pendenti, per i quali si siano già avviati procedimenti da delibare secondo il quadro normativo in vigore nel momento genetico”, in quanto la legge sopravvenuta può disciplinare soltanto gli effetti non ancora esauriti di un atto processuale.
Tuttavia, secondo la Corte, ciò non deriverebbe dalla natura processuale delle disposizioni, ma dal fatto che ci si trovi dinanzi ad una fattispecie complessa in cui convergono atti successivi, collegati tra loro da un nesso di funzionalità necessaria, realizzati allo scopo di ottenere, sin dal principio, una
pena alternativa al carcere.
Nel caso in esame, il rapporto di esecuzione si era consolidato attraverso l'emissione dell'
ordine di carcerazione e la contestuale sospensione già nel 2018, pertanto, secondo la Cassazione, il decreto di sospensione non era revocabile.
Dunque, non è possibile che una nuova legge sia idonea ad invalidare il provvedimento di sospensione dell'esecuzione, compiuto sotto il vigore della legge precedente, e nemmeno gli effetti di questo che si siano ormai irreversibilmente prodotti, come la possibilità del
condannato di presentare l'
istanza di misure alternative entro trenta giorni, oltre che il suo diritto a mantenere il regime di sospensione sino alla decisione del
tribunale di sorveglianza.