Tale sanzione, che tra i provvedimenti disciplinari rappresenta quello più severo, veniva giustificata dalla violazione delle norme antiriciclaggio da parte del lavoratore, il quale aveva contribuito, con la sua
condotta omissiva consistente nella mancata indicazione di diversi abusi, alla perpetrazione del
reato di
riciclaggio all'interno dell'Istituto di credito presso cui lavorava.
Più nello specifico, le irregolarità riguardavano l’attività di alcune
società le quali erano sospettate di aver subito infiltrazioni della criminalità organizzata all’interno dei propri apparati organizzativi e gestionali.
L’
impiegato, invece di eseguire il suo compito con diligenza, segnalando tali circostanze in relazione al sospetto della commissione di reati finanziari anche gravi, aveva omesso del tutto di procedere alle comunicazioni dovute.
Nonostante questo, il bancario era comunque stato dichiarato innocente nel giudizio penale per
mancanza di prove, ed era quindi stato assolto rispetto ai capi d’imputazione di
favoreggiamento reale e riciclaggio.
La Corte di Cassazione, nel risolvere il caso di specie, ha preso le mosse dalla distinzione sussistente tra il giudizio civile e quello penale, con particolare riferimento all’assolvimento dell’onere probatorio, che in sede penale risulta più gravoso, e ai mezzi di ricerca della prova, che parimenti tendono ad un grado di accertamento dei fatti che raggiunga lo standard dell’”oltre ogni ragionevole dubbio” e, proprio per questo, particolarmente elevato.
In sede civile, viceversa, nella quale il processo si svolge secondo regole processuali autonome e slegate da quelle penali, la sentenza può trovare fondamento su prove che si avvicinino in maniera altamente probabile alla verità, senza tuttavia richiedere un accertamento rigoroso come avviene in sede penale, e questo in virtù dei diversi beni giuridici che vengono in rilievo nei due procedimenti.
Per questo motivo, affermano gli ermellini,
l’assoluzione pronunciata in sede penale a causa della mancanza di una prova sufficiente in relazione all’elemento psicologico del reato, e non certo in ordine alla condotta materiale dell’imputato,
non vale in alcun modo ad escludere la responsabilità disciplinare del bancario e la possibilità quindi, per il datore di lavoro, di procedere al licenziamento del lavoratore negligente.