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L'intenzione della vittima di rimettere la querela non basta a evitare la custodia cautelare in carcere

L'intenzione della vittima di rimettere la querela non basta a evitare la custodia cautelare in carcere
L'indole violenta e aggressiva dell'indagato non consente di accedere a misure cautelari meno restrittive.
La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 36307 del 21 agosto 2019 ha dovuto affrontare il caso di un soggetto sottoposto alla misura cautelare del carcere con l’accusa di stalking nei confronti della sua ex compagna.
In particolare, il ricorrente chiedeva la sostituzione della gravosa misura cautelare del carcere con quelle meno repressive del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima, o della restrizione domiciliare con il braccialetto elettronico.
I giudici della Cassazione hanno accolto, ma solo parzialmente, le istanze del ricorrente.
Da una parte, infatti, era vero che, in virtù della ritrattazione della ex, andava ritirata l’accusa di violenza sessuale, dato che la compagna aveva ammesso di aver avuto un rapporto consenziente, e solamente uno era stato l’approccio molesto al quale aveva negato il consenso.
Tuttavia, il carattere violento e i ripetuti episodi di aggressione manifestati dall’autore del reato non possono consentire, ad avviso della Cassazione, la sostituzione della misura cautelare del carcere, necessaria in questo caso per contenere gli impulsi aggressivi e prepotenti del soggetto.
Più in particolare, per risolvere la questione de quo, i giudici hanno argomentato sostenendo che la “presunta volontà” della donna di rimettere la querela non fosse idonea e sufficiente ad elidere le concrete esigenze cautelari.
Queste ultime, infatti, continuavano a permanere a causa dell’indole dell’uomo, il quale si è dimostrato da sempre aggressivo, ponendo in essere condotte di violenza incontrollata che mettevano a rischio l’incolumità personale della vittima.

Come noto, le misure cautelari vengono irrogate in base ad una valutazione legata alle esigenze cautelari, così come previste dall'art. 274 e attenendosi a precisi "criteri di scelta delle misure", previsti dal successivo articolo 275. Il primo comma di tale disposizione recita che "nel disporre le misure, il giudice tiene conto della specifica idoneità di ciascuna in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto".
È quindi necessario osservare dei criteri di proporzionalità e di idoneità della specifica misura cautelare rispetto al caso concreto, tenendo conto che la misura della custodia cautelare in carcere, in quanto particolarmente repressiva, va adottata come extrema ratio.

Nel caso di specie, tuttavia, l'applicazione di tale misura più restrittiva appare inevitabile, sulla base dell'analisi del quadro probatorio offerto dall'accusa.
In altre parole, gli ermellini affermano come non siano applicabili le misure meno repressive richieste dal ricorrente, poiché la personalità aggressiva e astiosa del ricorrente “non fornisce alcuna rassicurazione circa la spontanea osservanza delle prescrizioni connesse ad una misura gradata rispetto a quella della custodia cautelare in carcere, attesa la gravità dei fatti commessi”.


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