L’eventuale accordo tra le parti, inoltre, sarebbe stato comunque nullo, non avendone le parti definito in tale sede alcuni elementi essenziali (causa contrattuale della locazione, canone da corrispondere, ecc.). Ancora, la Corte territoriale disattendeva la domanda proposta in via subordinata dal B. (destinata all’accertamento del diritto reale e/o personale di godimento acquistato dal ricorrente in relazione alle ex cabine idriche per la durata di nove anni rinnovabili), avendo lo stesso B. omesso di riproporre detta domanda in sede di precisazione delle conclusioni nel corso del giudizio di primo grado.
Il B. proponeva ricorso per Cassazione, deducendo, tra l’altro, la violazione degli artt. 112 e 346 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
Si lamentava, in tale ottica, la posizione assunta dal Giudice del merito che, privilegiando un criterio nella specie non decisivo, quale quello della mancata riproposizione della domanda all’atto della precisazione delle conclusioni (in primo grado), si era determinato per il rigetto della suddetta domanda proposta in via subordinata dal B. Il Supremo Consesso ha ritenuto tale doglianza fondata.
Si è preliminarmente evidenziato che, nel caso concreto, debba trovare piena applicazione l’insegnamento delle Sez. Un., n. 1785/2018, con la conseguenza che: “affinché una domanda possa ritenersi abbandonata, non è sufficiente che essa non venga riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, dovendosi avere riguardo alla condotta processuale complessiva della parte antecedente a tale momento, senza che assuma invece rilevanza il contenuto delle comparse conclusionali”.
La mancata riproposizione della domanda in sede di precisazione delle conclusioni, invero, costituirebbe, secondo tale impostazione, una “mera presunzione di abbandono”.
Sarà invece necessario, per ritenere abbandonata una domanda, un accertamento della non equivoca volontà della parte di non reiterare la domanda pretermessa.
Ciò sarà desumibile tanto dall’attenta valutazione della condotta processuale della parte, quanto dalla marcata connessione della domanda non riproposta con quelle espressamente avanzate.
Ha precisato la Corte, inoltre, fornendo un’interessante “bussola” al giudicante, che, pur essendo rimessa all’interprete “l’accortezza di procedere alla ricostruzione della volontà processuale delle parti”, debba essere tenuta “ferma la concorrente esigenza di salvaguardare la tutela del ragionevole affidamento riposto dall’una parte sul valore convenientemente significativo del contegno processuale dell’altra”. Appare fondamentale, a tal proposito, il valore “euristico” attribuito agli atti processuali tipicamente deputati a compendiare la manifestazione di volontà della parte (atto di citazione, ricorso, comparsa di risposta, le memorie ex art. 183 del c.p.c. ecc.), e fatta salva l’ipotesi di una espressa rinuncia o revoca delle domande già proposte.