Nel caso esaminato dalla Cassazione, il Tribunale de L’Aquila, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno proposta da un soggetto nei confronti della Regione Abruzzo, “per i danni riportati dall’autovettura di sua proprietà a seguito di collisione con un cinghiale comparso improvvisamente sulla strada”.
Il Tribunale de L’Aquila, in particolare, aveva ritenuto che non sussistessero i presupposti per il risarcimento, di cui all’art. 2043 c.c., in quanto non era stata provata la colpa della Regione, in termini di vigilanza.
Il Giudice aveva evidenziato, infatti, che non era stata dimostrata né “l’esistenza di fonti incontrollate di richiamo della selvaggina verso la sede stradale”, né “la mancata adozione di tecniche di captazione degli animali verso le aree boscose lontane da strade e da agglomerati urbani”.
Il Tribunale aveva rilevato, inoltre, che la Corte di Cassazione, con le sentenze n. 7080 del 2006 e n. 5202 del 2010, aveva precisato, in proposito, che il soggetto tenuto alla vigilanza sugli animali selvatici o il gestore/manutentore delle strade, non ha l’obbligo di “provvedere alla recinzione o segnalazione generalizzata dei perimetri boschivi”, né ha l’obbligo di provvedere alla “illuminazione notturna di strade lontane dai centri abitati”.
Ritenendo la decisione ingiusta, il soggetto in questione aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione al ricorrente, rigettando il relativo ricorso e dichiarandolo inammissibile.
Evidenziava la Cassazione, sul punto, che, ai sensi dell’art. 2043 c.c., il danneggiato dalla fauna selvatica, al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti, è tenuto a dimostrare, non solo il danno, ma “anche il concreto comportamento colposo ascrivibile all’ente tenuto al controllo della fauna”.
In tal senso, infatti, si è espressa la stessa Corte di Cassazione, con una precedente sentenza (la n. 24895 del 2005), nella quale è stato precisato che “il danno cagionato dalla fauna selvatica non è risarcibile in base alla presunzione stabilita dall’art. 2052 cod. civ., inapplicabile per la natura stessa degli animali selvatici, ma soltanto alla stregua dei principi generali sanciti dall’art. 2043 cod. civ., anche in tema di onere della prova, e perciò richiede l’individuazione di un concreto comportamento colposo ascrivibile all’ente pubblico”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dal danneggiato, confermando integralmente la sentenza impugnata e condannando il ricorrente anche al pagamento delle spese processuali.