La Corte territoriale, in seguito ad appello, confermava la statuizione di primo grado. Il padre decideva di ricorrere per Cassazione, deducendo, in particolare, un vizio di motivazione del provvedimento impugnato.
Nella specie, si lamentava del fatto che la Corte territoriale non aveva correlato l’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato al dato fattuale emerso in giudizio. Sarebbe stato, dunque, pregnante che l’imputato, all’epoca dei fatti, in qualità di curatore fallimentare presso il Tribunale di Roma, avesse subito una sensibile riduzione del carico lavorativo, che lo aveva portato a mantenere un tenore di vita non all’altezza di quello precedente.
Ancora, la sua situazione finanziaria non era successivamente migliorata, nonostante l’impiego presso altra amministrazione centrale, ed, inoltre, in quel periodo lo stesso imputato era stato vittima di un sinistro stradale.
Il Supremo Consesso, investito della cognizione della questione, ha ritenuto tale doglianza manifestamente infondata.
Alla luce del dato letterale citato, la fattispecie incriminatrice di cui sopra è a dolo generico, essendo irrilevante, per la sua consumazione, che “la condotta omissiva venga posta in essere con l’intenzione e la volontà di fare mancare i mezzi di sussistenza alla persona bisognosa (Cass. n. 24644/2014)”.
Ha precisato la Corte che, nel caso di specie, avrebbe dovuto essere dimostrata una impossibilità effettiva ed assoluta di poter far fronte agli obblighi prescritti dalla legge (e dal giudice civile) a favore della prole, non essendo sufficiente l’adduzione “della mera flessione degli introiti economici o la generica allegazione di difficoltà economiche o la semplice indicazione dello stato di disoccupazione”.
L’imputato, invero, non aveva fornito in giudizio la suddetta dimostrazione, essendo, invece, emerso che l’attività lavorativa fosse stata regolarmente svolta anche al tempo delle violazioni contestategli.