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I reati culturalmente orientati: un fenomeno in espansione

I reati culturalmente orientati: un fenomeno in espansione
Tra l'esigenza di riconoscere i “costumi” e le “usanze” proprie di alcune culture differenti dalla nostra e il dover rispettare i beni e i diritti fondamentali configurati dall’ordinamento costituzionale.
Con la pronuncia n. 30538 del 4 agosto 2021, la Quinta Sezione della Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in tema di reati culturalmente orientati. Si tratta di un tema che divide gli animi e che vede da un lato l’esigenza di riconoscere i “costumi” e le “usanze” proprie di alcune culture differenti dalla nostra e, dall’altro, il rispetto dei beni e dei diritti fondamentali configurati dall’ordinamento costituzionale presidiati dalle norme penali.
Nel caso di specie, la vicenda sottoposta all’attenzione degli Ermellini principia da una “compravendita” operata da individui appartenenti alla “comunità Rom”: due “capi” famiglia si accordavano al fine di combinare un matrimonio tra i rispettivi figli con il pagamento del prezzo per la sposa che, a partire dal matrimonio, sarebbe “appartenuta” alla famiglia dello sposo. Nella prospettiva di tale minoranza culturale, il pagamento del “prezzo per la sposa” corrisponde ad una usanza di antichissima origine in quanto è volto a tutelare anche la famiglia della donna e a dimostrare la solvibilità della famiglia dell’uomo nel sostenere i progetti di vita della coppia. In punto di diritto, la Corte di Assise di Firenze, tuttavia sussumeva il fatto concreto entro la fattispecie astratta del delitto di “Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù” ex art. 600 del c.p. comma I e per l’effetto condannava il padre della ragazza.
Prima di affrontare nel merito il decisum della Corte di Cassazione, appare opportuno premettere che il diritto del singolo alla tutela della propria identità culturale e religiosa costituisce il precipitato giuridico soggettivo del regime di pluralismo confessionale e culturale, garantito non soltanto dalla Costituzione italiana anche da diverse fonti sovranazionali. La caratterizzazione individuale e personale del potenziale autore di un illecito penale si acuisce nell’ipotesi di appartenenza ad un gruppo culturale minoritario, nel cui contesto determinati comportamenti, posti in essere dai membri, risultino accettati, approvati ovvero addirittura incoraggiati. Formazioni sociali di tale specie legittimano precise condotte in quanto conformi alle consuetudini che danno corpo alla cifra identitaria collettiva delle minoranze di riferimento.
Siffatto riscontro può, tuttavia, presentare un’alta carica di problematicità giacché una condotta (es. infibulazione) potrebbe cozzare con le norme penali vigenti all’interno di un ordinamento giuridico, frutto di una precisa voluntas legis indirizzata non solo all’ostracizzazione bensì alla criminalizzazione di alcuni comportamenti suscettibili di ledere determinati beni giuridici. Da ciò ne consegue l’antinomia eventualmente sussistente tra una norma penale e una regola di matrice culturale e, ampliando l’angolo prospettico, il conflitto tra un ordinamento di tipo consuetudinario tradizionale e uno di tipo statuale.
Ciò posto, gli Ermellini hanno ritenuto – conformemente alle precedenti pronunce – di dover escludere in radice la configurabilità di una causa di giustificazione di matrice culturale (c.d. scriminante culturale). La posizione del Collegio non deriva, però, dal rigetto in senso aprioristico del relativismo multiculturale, bensì dall’adesione ad un diverso approccio, costituito dal bilanciamento tra il diritto (inviolabile) a non rinnegare le proprie tradizioni (culturali, religiose, sociali) ed i valori offesi o posti in pericolo dalla condotta. Analizzando la questione dall’angolo prospettico così specificato, va esclusa «la configurabilità di una “scriminante culturale” in tutti quei casi in cui l’esercizio del diritto dell’agente a rimanere fedele alle regole sociali del proprio gruppo identitario si traduce nella negazione dei beni e dei diritti fondamentali configurati dall’ordinamento costituzionale presidiati dalle norme penali violate.
Senza recedere dal menzionato cardine argomentativo, la Cassazione ha tuttavia mantenuto un possibile ambito di rilievo del fattore culturale. Il giudice, segnatamente, dovrà tenerne conto in punto di pena ai sensi dell’art. 133 del c.p. commisurando il trattamento sanzionatorio all’esigibilità del comportamento conforme al precetto penale.


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