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Violazione della privacy e risarcimento del danno

Violazione della privacy e risarcimento del danno
Il reato di trattamento illecito dei dati personali altrui non è punibile se la condotta non ha arrecato alcun danno alla persona offesa.
La sezione penale del Tribunale di Firenze, con la sentenza n. 3307 del 23 giugno 2015, ha fornito alcune interessanti precisazioni in merito al reato di “trattamento illecito dei dati personali altrui”, di cui all'art. 81 del c.p. e l'art. 167 del codice privacy.

Nel caso esaminato dal Tribunale, un soggetto era stato imputato di tale reato, “per avere, al fine di recare un danno alla persona offesa”, abusivamente estratto la copia della carta d’identità della medesima dal suo computer, utilizzando i relativi dati identificativi al fine di effettuare “a suo nome registrazioni su siti internet (…) portali finalizzati ad incontri personali”.

Nel caso di specie, dall’esame dei testimoni, era emerso che tra l’imputato e la persona offesa sussisteva una collaborazione lavorativa che si era, poi, interrotta, a causa di alcuni dissapori.

Proprio dopo la cessazione della collaborazione, la persona offesa aveva ricevuto sul proprio indirizzo e-mail, delle richieste di conferma dell’iscrizione ad alcuni siti e, “ricostruendo i fatti e presentando relativa querela” la stessa “indicava quale possibile autore o comunque soggetto che avrebbe avuto interesse ad una sorta di vendetta l’odierno imputato”.

Tuttavia, secondo il Tribunale, nel caso di specie, non appariva “raggiunta in maniera incontrovertibile la prova della penale responsabilità” dell’imputato in ordine ai reati a lui contestati, dal momento che alcuni accessi al pc della persona offesa erano avvenuti successivamente all’allontanamento dall’azienda, mentre altri non erano stati in alcun modo provati o documentati.

In proposito, peraltro, il Tribunale osservava come il reato di “trattamento illecito dei dati personali altrui”, è disciplinato dall’art. 167 del codice privacy, il quale sanziona il comportamento di colui che, “al fine di trarne per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali

Peraltro, il Tribunale precisava doversi ritenere che “la condotta in parola non fosse penalmente perseguibile nell’ipotesi in cui il trattamento di dati personali, pur avvenuto senza il consenso dell’interessato, non avesse prodotto alcun danno a carico dello stesso”, da intendersi come danno “relativo sia alla persona del soggetto cui i dati personali si riferiscono, sia al suo patrimonio, in termini di perdita patrimoniale o di mancato guadagno, derivante dall’utilizzazione non consentita dei dati personali”.
Nel caso di specie, invece, tali elementi non risultavano essere stati provati, con la conseguenza che il Tribunale assolveva l’imputato, “perchè il fatto non sussiste”.


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