Nel caso esaminato dal Tribunale, un soggetto era stato imputato di tale reato, “per avere, al fine di recare un danno alla persona offesa”, abusivamente estratto la copia della carta d’identità della medesima dal suo computer, utilizzando i relativi dati identificativi al fine di effettuare “a suo nome registrazioni su siti internet (…) portali finalizzati ad incontri personali”.
Nel caso di specie, dall’esame dei testimoni, era emerso che tra l’imputato e la persona offesa sussisteva una collaborazione lavorativa che si era, poi, interrotta, a causa di alcuni dissapori.
Proprio dopo la cessazione della collaborazione, la persona offesa aveva ricevuto sul proprio indirizzo e-mail, delle richieste di conferma dell’iscrizione ad alcuni siti e, “ricostruendo i fatti e presentando relativa querela” la stessa “indicava quale possibile autore o comunque soggetto che avrebbe avuto interesse ad una sorta di vendetta l’odierno imputato”.
Tuttavia, secondo il Tribunale, nel caso di specie, non appariva “raggiunta in maniera incontrovertibile la prova della penale responsabilità” dell’imputato in ordine ai reati a lui contestati, dal momento che alcuni accessi al pc della persona offesa erano avvenuti successivamente all’allontanamento dall’azienda, mentre altri non erano stati in alcun modo provati o documentati.
In proposito, peraltro, il Tribunale osservava come il reato di “trattamento illecito dei dati personali altrui”, è disciplinato dall’art. 167 del codice privacy, il quale sanziona il comportamento di colui che, “al fine di trarne per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali”
Peraltro, il Tribunale precisava doversi ritenere che “la condotta in parola non fosse penalmente perseguibile nell’ipotesi in cui il trattamento di dati personali, pur avvenuto senza il consenso dell’interessato, non avesse prodotto alcun danno a carico dello stesso”, da intendersi come danno “relativo sia alla persona del soggetto cui i dati personali si riferiscono, sia al suo patrimonio, in termini di perdita patrimoniale o di mancato guadagno, derivante dall’utilizzazione non consentita dei dati personali”.