Nello specifico, l’ordinanza n. 216 riguardava un MAE emesso da un Tribunale croato nei confronti di un cittadino italiano accusato di detenzione e cessione di sostanze stupefacenti e risultato affetto da una patologia psichica cronica.
L’ordinanza n. 217, invece, era relativa ad un MAE emesso per la cattura, finalizzata all’esecuzione di una pena detentiva di cinque anni su suolo romeno, di un soggetto extracomunitario residente in Italia ed ivi stabilmente radicato da dieci anni.
Entrambe le vicende erano risultate problematiche per i giudici di merito in quanto la legge nazionale sul mandato d’arresto europeo non prevede la possibilità per l’autorità giudiziaria italiana di rifiutare la consegna in considerazione delle patologie gravi del soggetto o del suo radicamento nel paese. Per tale ragione, i giudici a quo avevano sospettato l’illegittimità costituzionale della normativa interna, paventando la compressione, rispettivamente, dei diritti fondamentali:
- alla salute, con violazione degli artt. 2 e 32 Cost.;
- alla vita privata e familiare, con violazione degli artt. 2 Cost., 8 Cedu e 7 CDFUE.
Nel proporre il rinvio pregiudiziale, segnatamente, la Consulta ha sottolineato che la decisione quadro 2002/584/GAI, al pari della normativa nazionale in materia, non prevede la possibilità di rifiutare la consegna nelle particolari ipotesi in esame. Già con riferimento ad altre ipotesi non previste dalla citata decisione quadro (come, ad esempio, il caso del sovraffollamento carcerario) la CGUE ha ammesso tuttavia l’ammissibilità del rifiuto alla consegna.
Spetta pertanto alla Corte di giustizia, organo di nomofilachia comunitaria, chiarire se anche nei casi giunti all’attenzione della Consulta sia legittimo il rifiuto di dare esecuzione ad un mandato d’arresto europeo stabilendo gli standard di tutela dei diritti fondamentali, nell’ottica dell’armonizzazione, del primato, dell’unità e dell’effettività del diritto dell’Unione.