La vicenda riguardava una
coppia omosessuale che, al fine di avere un figlio, si era recata
all’estero per avvalersi della
procreazione medicalmente assistita (c.d. PMA). A partorire la bambina era stata una delle due donne, che, essendo la madre biologica, aveva nei confronti della
minore la
responsabilità genitoriale; l’altra, invece, dichiarava di essere genitrice internazionale, dal momento che aveva dato il consenso alla sottoposizione della compagna alla pratica di PMA.
Le due donne, una volta tornate in Italia, avevano chiesto di ricevere la
dichiarazione congiunta di riconoscimento della bambina. Il Tribunale di Treviso, a fronte del rifiuto opposto dall’Ufficiale di stato civile, aveva rigettato la loro richiesta; veniva così proposto
reclamo dinanzi alla Corte d’
appello di Venezia, la quale, a sua volta, provvedeva al rigetto.
Le due donne decidevano allora di ricorrere in Cassazione, la quale si è pronunciata con la sentenza n. 7668/2020,
rigettando il
ricorso.
Secondo la Suprema Corte, i giudici di secondo grado avevano correttamente applicato il divieto di cui all’art. 5 della
legge 40/2004 ("Norme in materia di procreazione medicalmente assistita"), per cui
solamente le “coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi” possono accedere alle pratiche di PMA. La stessa Corte costituzionale, oltretutto, ha ritenuto la norma conforme a Costituzione.
È vero che, come hanno evidenziato le ricorrenti, in tema di
adozione di minori da parte di coppie omosessuali i più recenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità propendono per un
riconoscimento in Italia di atti formati all’estero, ma è altrettanto vero, sottolinea la Cassazione, che vi è una fondamentale
differenza tra l’adozione e la PMA.
Il fine dell’
adozione non è quello di dare un figlio alla coppia che lo richiede, bensì di
dare una famiglia al minore ne ne è privo. In questo caso il soggetto
adottato è già in vita ed il motivo per cui viene concesso il riconoscimento è quello di tutelare il suo interesse a mantenere le relazioni affettive con gli adottanti, relazioni che di fatto si erano già instaurate e consolidate e la cui sussistenza, comunque, deve essere verificata in concreto.
Diversamente, la PMA viene praticata allo scopo di dare un figlio ad una coppia o ad un singolo genitore, per realizzare le sue aspirazioni genitoriali. Dato che, in questo caso, il figlio non è ancora esistente, il legislatore si è preoccupato di regolamentare la materia cercando di offrirgli le migliori condizioni di tutela alla luce degli apprezzamenti correnti nella comunità sociale.
La Suprema Corte ha inoltre osservato che l’impossibilità di ottenere il riconoscimento di rapporti di filiazione riconosciuti dal diritto straniero nei confronti di due donne o di due uomini dello stesso sesso si giustifica in base ad un parametro normativo che nei due casi è differente.
È vero che, fondamentalmente, per gli atti validamente formati all’estero sarebbe opportuno tutelare il diritto alla continuità ed alla conservazione dello “status filiationis” acquisito al di fuori dell’Italia, nonché l’interesse alla circolazione degli atti giuridici, inteso come manifestazione dell’apertura del nostro ordinamento alle istanze internazionalistiche, alla luce dell’art. 117 Cost.; tuttavia, nei casi come quello in esame, a venire in rilievo è il principio di ordine, in ossequio al quale si è ritenuto non contrastare il divieto normativo di accedere alla PMA da parte di persone dello stesso sesso.
Diversamente, per le
coppie omosessuali maschili è possibile acquisire la genitorialità artificiale solamente facendo ricorso alla diversa pratica della
maternità surrogata, la quale è espressamente
vietata - nonché penalmente sanzionata - dall’art. 12 della sopracitata legge 40/2004. Tale divieto è espressivo di un principio di
ordine pubblico posto a
tutela di diritti fondamentali quali la dignità della gestante e l’adozione; istituto al quale, comunque, è sempre possibile ricorrere.
Alla luce di queste premesse, la Cassazione ha affermato che, nel nostro ordinamento, è possibile menzionare come madre nell’
atto di nascita solamente una persona, in ragione del fatto che il rapporto di
filiazione presuppone un
legame biologico e/o genetico con il nato; vige, dunque, un
divieto di doppia maternità, applicabile non soltanto agli atti di
nascita formati in Italia, ma anche a quelli formati all’estero e di cui si chiede il riconoscimento nel nostro Paese; tutto ciò, a prescindere da dove sia avvenuta la pratica della procreazione assistita.