Nel caso esaminato dalla Corte, i minori in questione erano figli di una coppia che faceva uso abituale di sostanze stupefacenti; la Corte d'appello aveva ritenuto opportuno confermare la decisione del tribunale che aveva decretato stato di adottabilità dei medesimi, ai sensi dell'articolo 8 della legge n. 184 del 1993.
Tale procedimento, in particolare, era stato avviato a seguito di un controllo effettuato dalle forze dell'ordine presso l'abitazione della coppia, nella quale era stato rinvenuto "un ambiente assolutamente inadeguato per i minori, in quanto caratterizzato da disordine, sporcizia e degrado".
Dalle indagini effettuate, inoltre, era risultato che i genitori, tossicodipendenti e più volte condannati per aver detenuto illecitamente sostanze stupefacenti, erano stati seguiti dai servizi competenti per una terapia di disintossicazione.
I minori erano stati, dunque, assegnati a una struttura protetta e "al momento del ricovero erano apparsi poco curati sotto il profilo igienico-sanitario ed abituati ad un'alimentazione inadeguata, nonché in possesso di un'insufficiente preparazione scolastica".
Sulla base di tutte queste circostanze, il Tribunale aveva ritenuto che i genitori non fossero idonei a prendersi cura dei figli, i quali si trovavano in un grave stato di abbandono, tale da giustificare la dichiarazione dello stato di adottabilità.
Giunti al terzo grado di giudizio, la Corte riteneva di dover aderire alle argomentazioni svolte dal giudice di secondo grado.
Secondo la Cassazione, infatti, la Corte d'Appello era giunta correttamente alla conclusione secondo la quale, in base ad un'approfondita indagine delle circostanze di fatto, la dichiarazione di adottabilità fosse l'unico rimedio onde evitare un notevole pregiudizio per il corretto sviluppo psicofisico dei minori.
Tale considerazione, infatti, "non contrasta in alcun modo con il diritto dei minori a crescere ed essere educati nell'ambito della loro famiglia di origine (...) il cui carattere prioritario (...) non esclude la configurabilità dello stato di abbandono, nel caso in cui, come nella specie, il genitore, nonostante l'attaccamento dimostrato verso il figlio e la collaborazione prestata all'azione di sostegno dei servizi sociali, non abbia raggiunto l'autonomia necessaria nell'assistenza e nel l'educazione del minore, e risulti comunque impossibile formulare previsioni in ordine al tempo ragionevolmente occorrente per ristabilire un adeguato contesto familiare".
Secondo la Corte, di fatto, lo stato di adottabilità non richiede necessariamente un "rifiuto intenzionale e irrevocabile di adempiere i doveri genitoriali", essendo sufficiente che vi sia una situazione obiettiva per cui il minore, indipendentemente dalle intenzioni dei genitori, non si trovi nelle condizioni di poter godere di un "sano sviluppo psicofisico", a causa dell'inidoneità dei genitori naturali di prendersene adeguatamente cura.
La Corte, dunque, ribadiva come la Corte d'Appello avesse adeguatamente e correttamente motivato la sua decisione di confermare la dichiarazione dello stato di adottabilità dei minori, ritenendola "inevitabile", a causa delle "criticità psicologiche e comportamentali collegate allo stato di tossicodipendenza" dei genitori e delle "gravi lacune emerse sul piano della comprensione dei bisogni morali e materiali dei figli, prima ancora che sulla capacità di darvi congruo soddisfacimento".
Peraltro, secondo la Cassazione, a nulla rilevava che, nel caso di specie, la nonna paterna e lo zio dei minori si fossero resi disponibili a provvedere ai minori, dal momento che gli stessi non avevano, in passato, avuto rapporti significativi con i nipoti, con la conseguenza che, del tutto correttamente, la Corte d'Appello aveva dato atto dello "scarso interesse" manifestato dai parenti stessi per la situazione dei minori, rilevando come essi non si fossero mai attivati "per esercitare un controllo più stringente sulle abitudini di vita della famiglia".
Alla luce di quanto sopra, la Cassazione rigettava il ricorso proposto confermando la decisione della Corte d'appello.