Spesso chi si ritrova ad ereditare una somma di denaro o dei beni immobili in seguito alla morte di un parente si pone il problema di cosa potrebbe accadere se i creditori decidessero di “attaccare” i beni ricevuti in eredità.
Ci sono due diverse ipotesi in cui i debiti possono interferire con l’acquisizione dei beni per via successoria: quando è l’erede ad averli, oppure quando il debitore è il de cuius, ossia il defunto, e i debiti vengono trasmessi unitamente all’eredità.
Sappiamo, infatti, che l’eredità si definisce una “universalità di beni”, ossia un unico "pacchetto" contenente beni, debiti e crediti appartenenti alla persona defunta. In entrambi i casi, sia quando i debiti sono del de cuius che quando sono degli eredi, l’eredità sarà pignorabile solo una volta accettata dagli aventi diritto.
L’accettazione dell’eredità può essere espressa o tacita.
La prima viene effettuata dagli eredi mediante atto pubblico o scrittura privata, la seconda si perfeziona quando il chiamato all’eredità, pur non avendo siglato alcun atto scritto, compia delle azioni che lascino intendere la sua volontà di accettarla. Ne è un esempio il caso in cui il chiamato all’eredità provveda a pagare i debiti del de cuius.
Oltre a questo adempimento, gli eredi che decidano di accettare l’eredità dovranno compiere una dichiarazione di successione, ossia l’atto con cui si rende ufficialmente noto il trasferimento del patrimonio ereditario dal soggetto defunto ai suoi eredi aventi diritto a riceverlo. Poiché non è possibile, per gli eredi, conoscere la situazione debitoria del defunto prima di accettare l’eredità, può capitare che essi si trovino a doverla spendere interamente per soddisfare i creditori del defunto, o anche i propri.
Quando i debiti appartengono al de cuius, agli eredi viene data un’importante possibilità per evitare di rimetterci una volta accettata l’eredità: quella di effettuare la cosiddetta accettazione con beneficio di inventario. In tal caso, essi potranno soddisfare i creditori del defunto solo con il patrimonio ricevuto in eredità, evitando così di accollarsi i debiti del de cuius che eccedano il suo patrimonio, scongiurando il pericolo di doverli pagare anche con i propri soldi, o di rischiare che venga effettuato un pignoramento sui propri beni.
Invece, sia nel caso in cui è il defunto ad avere debiti, sia quando sono gli eredi ad averli, essi potranno temporeggiare e, nell’attesa che i debiti si prescrivano, non accettare né rinunciare all’eredità, dal momento che la legge dà agli eredi un termine di 10 anni per decidere se accettarla o meno.
In questo caso, però, i creditori interessati potrebbero ricorrere al tribunale per chiedere che il termine di 10 anni venga ridotto, così da costringere gli eredi a prendere una decisione: accettare l’eredità e pagare i debiti, o rinunciarvi.
Qualora ciò accada, gli eredi possono sempre rinunciare all’eredità. La rinuncia all’eredità è infatti un istituto soggetto a “ripensamento” per i dieci anni che seguono l’apertura della successione. Ciò significa che è possibile, per gli eredi, rinunciare all’eredità temporaneamente, per il periodo necessario a far sì che i crediti altrui cadano in prescrizione e, una volta liberata l’eredità dai debiti, revocare la rinuncia e ricevere il patrimonio ereditario libero da eventuali pesi. Anche in questo caso, i creditori possono decidere di intervenire e chiedere la revoca della rinuncia all'eredità, ma questa possibilità viene data loro solo per i 5 anni seguenti la morte del de cuius.
Tuttavia, quando gli eredi sono più di uno e solo uno di essi decida di rinunciare all’eredità, la legge gli impedisce di revocare la sua rinuncia, dal momento che la sua parte – a cui ha rinunciato – verrà ridistribuita tra gli eredi che invece hanno accettato l’eredità prima di lui. Pertanto, se si decide di effettuare una rinuncia finalizzata all’elusione dei creditori, è importante che vi sia un accordo tra tutti gli eredi, al fine di rinunciare temporaneamente tutti insieme, o di trovare un'intesa affinché solo uno di essi rinunci, in cambio del riconoscimento di un bene o di una somma in denaro da parte degli altri eredi che intendano accettare.
Ci sono due diverse ipotesi in cui i debiti possono interferire con l’acquisizione dei beni per via successoria: quando è l’erede ad averli, oppure quando il debitore è il de cuius, ossia il defunto, e i debiti vengono trasmessi unitamente all’eredità.
Sappiamo, infatti, che l’eredità si definisce una “universalità di beni”, ossia un unico "pacchetto" contenente beni, debiti e crediti appartenenti alla persona defunta. In entrambi i casi, sia quando i debiti sono del de cuius che quando sono degli eredi, l’eredità sarà pignorabile solo una volta accettata dagli aventi diritto.
L’accettazione dell’eredità può essere espressa o tacita.
La prima viene effettuata dagli eredi mediante atto pubblico o scrittura privata, la seconda si perfeziona quando il chiamato all’eredità, pur non avendo siglato alcun atto scritto, compia delle azioni che lascino intendere la sua volontà di accettarla. Ne è un esempio il caso in cui il chiamato all’eredità provveda a pagare i debiti del de cuius.
Oltre a questo adempimento, gli eredi che decidano di accettare l’eredità dovranno compiere una dichiarazione di successione, ossia l’atto con cui si rende ufficialmente noto il trasferimento del patrimonio ereditario dal soggetto defunto ai suoi eredi aventi diritto a riceverlo. Poiché non è possibile, per gli eredi, conoscere la situazione debitoria del defunto prima di accettare l’eredità, può capitare che essi si trovino a doverla spendere interamente per soddisfare i creditori del defunto, o anche i propri.
Quando i debiti appartengono al de cuius, agli eredi viene data un’importante possibilità per evitare di rimetterci una volta accettata l’eredità: quella di effettuare la cosiddetta accettazione con beneficio di inventario. In tal caso, essi potranno soddisfare i creditori del defunto solo con il patrimonio ricevuto in eredità, evitando così di accollarsi i debiti del de cuius che eccedano il suo patrimonio, scongiurando il pericolo di doverli pagare anche con i propri soldi, o di rischiare che venga effettuato un pignoramento sui propri beni.
Invece, sia nel caso in cui è il defunto ad avere debiti, sia quando sono gli eredi ad averli, essi potranno temporeggiare e, nell’attesa che i debiti si prescrivano, non accettare né rinunciare all’eredità, dal momento che la legge dà agli eredi un termine di 10 anni per decidere se accettarla o meno.
In questo caso, però, i creditori interessati potrebbero ricorrere al tribunale per chiedere che il termine di 10 anni venga ridotto, così da costringere gli eredi a prendere una decisione: accettare l’eredità e pagare i debiti, o rinunciarvi.
Qualora ciò accada, gli eredi possono sempre rinunciare all’eredità. La rinuncia all’eredità è infatti un istituto soggetto a “ripensamento” per i dieci anni che seguono l’apertura della successione. Ciò significa che è possibile, per gli eredi, rinunciare all’eredità temporaneamente, per il periodo necessario a far sì che i crediti altrui cadano in prescrizione e, una volta liberata l’eredità dai debiti, revocare la rinuncia e ricevere il patrimonio ereditario libero da eventuali pesi. Anche in questo caso, i creditori possono decidere di intervenire e chiedere la revoca della rinuncia all'eredità, ma questa possibilità viene data loro solo per i 5 anni seguenti la morte del de cuius.
Tuttavia, quando gli eredi sono più di uno e solo uno di essi decida di rinunciare all’eredità, la legge gli impedisce di revocare la sua rinuncia, dal momento che la sua parte – a cui ha rinunciato – verrà ridistribuita tra gli eredi che invece hanno accettato l’eredità prima di lui. Pertanto, se si decide di effettuare una rinuncia finalizzata all’elusione dei creditori, è importante che vi sia un accordo tra tutti gli eredi, al fine di rinunciare temporaneamente tutti insieme, o di trovare un'intesa affinché solo uno di essi rinunci, in cambio del riconoscimento di un bene o di una somma in denaro da parte degli altri eredi che intendano accettare.