Nel caso di specie, il danneggiato aveva agito in giudizio, ai sensi degli artt. 1218, 1223 e 1226 codice civile, al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito di alcune cure odontoiatriche praticate, non da un odontoiatra ma da un odontotecnico, “in modo maldestro”.
Il danneggiato chiedeva, dunque, la restituzione della somma già corrisposta all’odontotecnico come compenso per la prestazione resa, nonché della somma necessaria per la nuova esecuzione degli interventi già realizzati.
In primo grado, il Tribunale condannava l’odontotecnico al risarcimento danni, quantificati nella somma di oltre 6.000 euro, ma la sentenza veniva ribaltata in secondo grado, dal momento che la Corte d’Appello accoglieva l’impugnazione proposta, rigettando la domanda proposta dal danneggiato.
La Corte d’Appello, infatti, osservava come “la prospettazione della domanda attorea prescindeva dal difetto di abilitazione professionale dell’esecutore della prestazione sanitaria”, in quanto il danneggiato aveva fondato la propria pretesa risarcitoria “sull’illecito contrattuale per inesatta esecuzione di detta prestazione”.
La Corte, quindi, non riteneva di poter accogliere la domanda risarcitoria avente ad oggetto il compenso corrisposto all’odontotecnico, in quanto il danneggiato “non faceva valere una risoluzione per inadempimento del contratto o la ripetizione d’indebito per invalidità del rapporto (per difetto di iscrizione all’albo del professionista)”.
Per quanto riguarda, inoltre, il preteso risarcimento del pregiudizio rappresentato “dal prevedibile costo di esecuzione della prestazione difettosa”, la Corte d’Appello riteneva che non si fosse in presenza di un “danno risarcibile”, in quanto “la prestazione inesattamente eseguita legittima l’obbligo restitutorio solo a seguito della risoluzione del contratto d’opera professionale, mentre il dover rivolgersi ad altri comporta la legittima corresponsione del compenso al professionista alternativamente incaricato al compimento di quanto malamente eseguito”.
Al massimo, secondo il giudice di secondo grado, “il danno avrebbe potuto essere costituito dalla maggiore spesa da sostenersi per un importo del compenso ipoteticamente superiore rispetto a quello pattuito”. Ma tale danno, secondo la Corte, non era stato né allegato né dimostrato.
Il danneggiato, ritenendo ingiusta la riforma della sentenza, e decideva di proporre ricorso per Cassazione, il quale veniva accolto.
La Cassazione, infatti, precisava che, nel caso di specie, il danneggiato aveva agito in giudizio attraverso una “azione risarcitoria conseguente ad inadempimento, ai sensi dell’art. 1218 codice civile, di un contratto di prestazione d’opera professionale”.
Proseguiva la Corte osservando che “l’esecuzione di una prestazione d’opera professionale di natura intellettuale effettuata da chi non sia iscritto nell’apposito albo previsto dalla legge, dà luogo, ai sensi dell’art. 1418 e 2231 c.c., a nullità assoluta del rapporto tra professionista e cliente, privando il contratto di qualsiasi effetto”.
Con particolare riferimento alla figura dell’odontotecnico, poi, precisa la Cassazione come “la progettazione, preparazione e collocazione nel cavo orale del cliente di una protesi dentaria implicano l’esecuzione di operazioni e manovre vietate agli odontotecnici dall’art. 11 del regio decreto 31 maggio 1928, n. 1334, perché riservate ai sanitari iscritti negli albi professionali dei medici chirurghi o degli odontoiatri”, con conseguente “nullità assoluta del rapporto contrattuale intercorso al riguardo tra odontotecnico e cliente”.
Nel caso di specie, quindi, il contratto di prestazione d’opera professionale tra il cliente-danneggiato e l’odontotecnico, avrebbe dovuto, già in primo e secondo grado, essere dichiarato radicalmente nullo, con la conseguenza che la sentenza della Corte d’Appello doveva essere annullata, in quanto “la decisione assunta prescinde dalla nullità contrattuale”, rilevata solo in sede di giudizio dinanzi la Corte di Cassazione.