Il caso sottoposto all’esame della Cassazione ha visto come protagonista un soggetto, in quale era stato condannato, sia in primo che in secondo grado, per i reati di “omicidio del consenziente” (art. 579 c.p.) e “omicidio volontario” (art. 575 c.p.), commessi in danno, rispettivamente, della moglie – affetta da depressione e patologia tiroidea - e del figlio disabile.
Nello specifico, dagli accertamenti effettuati in corso di causa, era emerso che l’imputato aveva commesso il duplice omicidio sulla base della volontà manifestata dalla moglie in uno scritto “che ne disponeva le modalità esecutive”.
Era, invece, stato escluso che il figlio avesse acconsentito ad essere ucciso, dal momento che, da un lato, erano emersi una serie di indici che ne avevano dimostrato l'attaccamento alla vita e, d’altro lato, la patologia psichica da cui questi era affetto “escludeva comunque la formazione di un consapevole consenso all'omicidio”.
Ritenendo la decisione ingiusta, l’imputato aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle considerazioni svolte dall’imputato, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.
Osservava la Cassazione, in proposito, che il “consenso della vittima” è elemento costitutivo del reato di cui all’art. 579 c.p. e che, laddove il colpevole “incorra in errore sulla sussistenza del consenso, deve trovare applicazione la previsione normativa dell'art. 47 c.p. , comma 2, in base alla quale l'errore sul fatto che costituisce un determinato reato non esclude la punibilità per un reato diverso”, che, nel caso di specie, era costituito dal reato di “omicidio volontario”, di cui l’imputato avrebbe dovuto, pertanto, rispondere.
Evidenziava la Cassazione, infatti, che il consenso della persona offesa “incide sulla tipicità del fatto punito dall'art. 579 c.p. , e non sulla sua antigiuridicità”.
Secondo la Cassazione, peraltro, nel caso di specie, la Corte d’appello aveva, del tutto correttamente, valorizzato la patologia (anche) psichica da cui era affetto il figlio dell’imputato, escludendo, dunque, “la stessa configurabilità di un valido consenso della persona offesa alla propria eliminazione fisica”.
Sul punto, la Corte evidenziava che l’art. 579 c.p., comma 3, n. 2, “prevede, infatti, che debba trovare applicazione la disposizione relativa all'omicidio volontario, ex art. 575 c.p. , allorchè il fatto sia commesso in danno di una persona che versi in condizioni (patologiche) di deficienza psichica”.
Tutto ciò considerato, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dall’imputato, confermando integralmente la sentenza impugnata.