Nel caso esaminato dalla Cassazione, il Tribunale di Avellino aveva condannato un soggetto per il reato di “furto aggravato di energia elettrica”.
Ritenendo la decisione ingiusta, l’imputato aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Secondo il ricorrente, in particolare, il processo si era celebrato in sua assenza, senza che egli ne avesse avuto effettiva conoscenza.
Nello specifico, infatti, secondo il ricorrente, il decreto di citazione a giudizio gli era stato notificato a mezzo posta ma la raccomandata era stata consegnata, nella sua residenza, ad un’altra persona, di cui non era stato indicato il nome e che era stata qualificata come “familiare convivente figlio”, mentre, in realtà, egli non aveva nessun figlio convivente.
A sostegno delle proprie ragioni, l’imputato allegata il proprio certificato di stato di famiglia, dal quale, effettivamente, risultava che non vi era alcun figlio con lui convivente.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione al ricorrente, rigettando il relativo ricorso, in quanto “manifestamente infondato”.
Osservava la Cassazione, in proposito, che “l’identificazione del soggetto che riceve il plico postale contenente il decreto di citazione a giudizio non è requisito di validità dell’atto” e che “la qualifica di soggetto convivente con il destinatario dell’atto si presume anche nell’ipotesi di presenza temporanea di un soggetto qualificatosi, in ogni caso, quale familiare dello stesso”.
La Corte di Cassazione precisava, inoltre, che “in materia di notificazione all’imputato non detenuto”, ai sensi dell’art. 157 cod. proc. pen. (prima notificazione all’imputato non detenuto), per “familiari conviventi” non devono intendersi solo le persone che vivono stabilmente con il soggetto in questione e che facciano, dal punto di vista anagrafico, parte della sua famiglia, ma anche quelle persone che “per altri motivi, si trovino al momento della notificazione nella casa di abitazione del medesimo, purché le stesse, per la qualifica declinata rappresentino una situazione di convivenza, sia pure di carattere meramente temporaneo, che legittima nell’agente notificatore il ragionevole affidamento che l’atto perverrà all’interessato”.
Ciò considerato, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dall’imputato, confermando integralmente la sentenza resa dal Tribunale e condannando il ricorrente anche al pagamento delle spese processuali.