Il caso sottoposto all’esame della Cassazione ha visto come protagonisti i famigliari di un soggetto deceduto dopo essere stato investito da un autocarro, i quali avevano agito in giudizio nei confronti del proprietario dell’automezzo, del conducente e della compagnia assicuratrice del veicolo, al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti.
Il Tribunale di primo grado aveva rigettato la domanda risarcitoria ma la sentenza era stata parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Milano, la quale:
a) rigettava la domanda proposta dalla madre e dai fratelli della vittima, “ritenendo non provata una ‘effettiva compromissione di un rapporto affettivo in essere al momento del fatto’”;
b) accoglieva la domanda proposta dalla moglie e dai figli della vittima, “addossando, tuttavia, a quest’ultima un concorso di colpa del 50%”.
La Corte, inoltre, riteneva che “il danno non patrimoniale patito dalla moglie e dai figli della vittima dovesse essere ragguagliato alla realtà socioeconomica in cui vivono i soggetti danneggiati”, con la conseguenza che, poiché questi risiedevano in Romania, il risarcimento avrebbe dovuto essere ridotto del 30% rispetto a quello a cui avrebbero avuto diritto delle persone residenti in Italia.
Ritenendo la decisione ingiusta, tutti i famigliari della vittima avevano deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Secondo i ricorrenti, in particolare, la Corte d’appello non avrebbe dato corretta applicazione agli artt. 2043 e 1223 c.c., “per avere ridotto il risarcimento in considerazione del loro luogo di residenza, ovvero la Romania”.
La Corte di Cassazione riteneva, in effetti, di dover aderire alle considerazioni svolte dai famigliari della vittima, accogliendo il relativo ricorso, in quanto fondato.
Osservava la Cassazione, infatti, che “la realtà socio economica nella quale vive la vittima d’un fatto illecito è del tutto irrilevante ai fini della liquidazione del danno”.
Precisava la Corte che - pur potendosi ammettere che “il risarcimento del danno non patrimoniale abbia una funzione compensativa”, ciò non significativa che il valore del danno sofferto dipenda dal luogo di residenza del danneggiato.
Del resto – precisava la Corte - un risarcimento in denaro non necessariamente è destinato ad essere speso, in quanto lo stesso potrebbe anche essere investito e “non è affatto vero che nei Paesi più ricchi il capitale investito sia remunerato più proficuamente che nei Paesi poveri (ma anzi è vero spesso il contrario (…)”.
Inoltre, secondo la Cassazione, tutto quel che avviene dopo il risarcimento è “giuridicamente irrilevante”, dal momento che al giudice “non interessa quel che il creditore farà col suo denaro” ma interessa solo “di che natura ed entità fu il pregiudizio causato dal fatto illecito”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dai famigliari della vittima del sinistro, annullando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte d’appello di Milano, affinché la medesima procedesse ad una nuova valutazione dei fatti di causa, sulla base dei principi sopra enunciati.