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Si al licenziamento del dipendente dell’hotel se, anche tramite presunzioni, è stato provato che ha sottratto denaro dalla cassaforte di una stanza

Lavoro - -
Si al licenziamento del dipendente dell’hotel se, anche tramite presunzioni, è stato provato che ha sottratto denaro dalla cassaforte di una stanza
L’accertamento per presunzioni, attraverso una verifica degli orari di accesso, del fatto che il dipendente di un hotel abbia sottratto denaro dalla cassaforte di una stanza, ne giustifica il licenziamento.
La Sesta Sezione Civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 12552/2020, ha avuto modo di pronunciarsi in materia di licenziamento, chiedendosi se sia legittimo quello intimato ad un facchino, dipendente di un hotel, che abbia sottratto del denaro dalla cassaforte di una stanza della struttura, con particolare attenzione al caso in cui il fatto sia stato accertato per mezzo di presunzioni, verificando la coincidenza tra l’orario di apertura della porta della stanza e della cassaforte e gli orari degli ingressi nella medesima stanza, da parte del lavoratore.

La questione sottoposta al vaglio degli Ermellini era nata in seguito all’impugnazione, da parte di un dipendente di un hotel, del licenziamento intimatogli dalla struttura datrice di lavoro, la quale lo aveva accusato di essersi impossessato del denaro custodito nella cassaforte di una stanza.

Nonostante un iniziale accoglimento dell’istanza del lavoratore, all’esito del giudizio di prime cure, essa veniva, poi, respinta dalla Corte d’Appello. Quest’ultima riteneva, infatti, dimostrato l’addebito contestato al lavoratore, sulla base, soprattutto, della perfetta concomitanza tra gli orari di accesso dell’uomo nella stanza in cui era venuta la sottrazione di denaro, e quelli in cui aveva avuto luogo l’apertura della cassaforte, la quale, peraltro, non era giustificata da alcuna necessità legata alle mansioni da svolgere.

Avverso tale decisione, il lavoratore ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione, eccependo, in primo luogo, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2727 del c.c. A suo avviso, infatti, il ragionamento della Corte territoriale non si basava su fatti noti, non essendo stata provata in alcun modo né l’avvenuta sottrazione delle banconote dalla cassaforte, né la disponibilità, in capo a sé, della chiave meccanica necessaria per la per l’apertura della cassaforte stessa, né, infine, la compatibilità con l’accusa dei ridotti tempi di permanenza all’interno della stanza in cui era venuta la sottrazione. Nel caso di specie, dunque, secondo il ricorrente, non sussistevano i requisiti necessari per l’applicazione dell’art. 2727 del c.c., il quale consentiva di ritenere provato un fatto ignoto soltanto attraverso un fatto noto, ossia riconosciuto come non contestato da tutte le parti processuali, o ritenuto già provato, o, ancora, riconducibile alle nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza.

Con un secondo motivo di ricorso, il lavoratore lamentava la violazione e la falsa applicazione della medesima norma anche sotto il profilo dell’assoluta insussistenza del fatto. Al riguardo l’uomo ribadiva la mancanza di prove in relazione ai fatti posti alla base del ragionamento presuntivo, sottolineando, in particolare, come i dispositivi da cui erano stati tratti i dati utilizzati dalla Corte di merito, non fossero stati oggetto di verifica da parte dei Giudici o dei loro ausiliari, nonché come le rilevazioni delle telecamere e del pass, in quanto redatte da personale dipendente dell’albergo, avrebbero dovuto essere considerate dei documenti provenienti dalla controparte e, quindi, privi di efficacia probatoria in favore della stessa. Per giunta, i testimoni ascoltati nel corso del giudizio di merito, avevano confermato la rigida procedura di utilizzo della chiave meccanica di apertura delle casseforti presenti nelle stanze dell’hotel.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso.

Gli Ermellini, premettendo che l’art. 2727 del c.c. dispone che le presunzioni sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire ad un fatto ignoto, hanno evidenziato come la giurisprudenza di legittimità abbia più volte avuto modo di sottolineare che, nel dedurre dal fatto noto quello ignoto, il Giudice di merito incontra il solo limite del principio di probabilità (cfr. ex multis Cass. Civ., n. 13546/2006).
Secondo il costante orientamento della Cassazione, dunque, non occorre che i fatti su cui la presunzione si fonda siano tali da far apparire l’esistenza del fatto ignoto come l’unica conseguenza possibile, secondo un criterio di necessità assoluta ed esclusiva, essendo, invece, sufficiente che l’inferenza del fatto noto da quello ignoto sia effettuata in base ad un canone di ragionevole probabilità, con riferimento alla connessione degli accadimenti la cui normale sequenza e ricorrenza può verificarsi secondo regole di esperienza basate sull’id quod plerumque accidit” (cfr. ex multis Cass. Civ., n. 14762/2019; Cass. Civ., n. 6387/2018).

Il giudizio valutativo sugli indizi costituisce, peraltro, un giudizio di fatto che, come tale, è rimesso al Giudice di merito, il quale, nel suo libero apprezzamento, può valutarli, anche se provenienti dalla parte, come idonei a dimostrare un fatto determinato, e porli, quindi, alla base del proprio convincimento, in concorso meno con altri elementi significativi (cfr. Cass. Civ., n. 5645/2006; Cass. Civ., n. 17371/2003).

Esaminando sulla base di tali precisazioni l’operato della Corte d’Appello, in relazione al caso di specie, i Giudici di legittimità hanno rilevato come la stessa abbia affermato l’attribuibilità, al ricorrente, della sottrazione del denaro dalla cassaforte di una stanza, sulla base di una serie di fatti noti, i quali sono stati accertati e provati nel corso del processo, secondo una valutazione di merito non sindacabile in sede di legittimità.

La sottrazione del denaro è, infatti, stata affermata in base alla denuncia presentata dai clienti occupanti la stanza in questione, da cui era risultato un difetto di funzionamento della cassaforte digitale. Oltre a ciò, le prove testimoniali, documentali e di videoregistrazione hanno consentito di ricostruire l’orario esatto in cui erano state aperte sia la porta della stanza che la cassaforte, nonché la perfetta sovrapponibilità di tali orari agli ingressi nella medesima stanza da parte del ricorrente. Altre prove testimoniali hanno, poi, consentito di accertare come la chiave meccanica di apertura della cassaforte fosse facilmente duplicabile presso qualsiasi ferramenta e come, non essendo essa voluminosa, fosse facilmente occultabile, tanto che lo stesso ricorrente aveva riferito di averla avuta a propria disposizione in più occasioni.


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