Allora, il piano di recupero delle assenze vincola il lavoratore dipendente?
La Cassazione, con la recente sentenza n. 6140 del 2025, ha fatto chiarezza.
Il caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte riguardava una dipendente che, assentatasi svariate volte senza giustificazione, veniva licenziata dall’azienda ospedaliera presso cui prestava servizio. Nello specifico, l’azienda aveva proposto un piano di recupero delle assenze. Tuttavia, la lavoratrice aveva continuato ad assentarsi.
La vicenda in esame riguarda soprattutto il tema della sproporzione della sanzione erogata.
In poche parole, è proporzionato il licenziamento per giusta causa se il lavoratore non rispetta il piano di recupero?
In caso di assenza ingiustificata, c’è il pericolo di sanzioni disciplinari che possono arrivare fino al licenziamento per giusta causa.
Tuttavia, al fine di evitare provvedimenti disciplinari più severi, è possibile che il datore di lavoro e il lavoratore si accordino per il recupero delle ore di assenza, concordando le modalità e i tempi di questo recupero (ad esempio, le ore di mancato lavoro possono essere recuperate attraverso straordinari).
Però il dipendente non può recuperare le assenze ingiustificate rinunciando al c.d. riposo necessario (per esempio, non si può rinunciare alle undici ore di riposo tra un turno e l’altro). Infatti il lavoratore ha diritto alla fruizione del necessario riposo, che deve essere garantito dal datore di lavoro, indipendentemente da una richiesta, in quanto si tratta di diritto indisponibile.
Quando il lavoratore non rispetta il piano di recupero delle assenze, può esserci il licenziamento per giusta causa?
Con la pronuncia in esame, la Cassazione ha affermato che l’inosservanza del piano di recupero delle assenze dal lavoro può legittimare il licenziamento per giusta causa.
Per la Suprema Corte, la sanzione disciplinare del licenziamento per giusta causa è proporzionata se il comportamento del lavoratore è tanto grave da far venire meno la fiducia del datore di lavoro e da rendere impossibile la continuazione del rapporto di lavoro.
D’altronde, un dipendente, che si assenta ripetutamente senza giustificazione e che non rispetta il piano di recupero dell’orario fissato dal datore, viola il principio di buona fede (art. 1375 del c.c.) poiché non rispetta gli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro e danneggia gli interessi del datore.
Nello specifico, la Corte di Cassazione si concentra sul giudizio di proporzionalità tra il comportamento della lavoratrice e la sanzione del licenziamento, ponendo particolare attenzione al rapporto fiduciario tra datore di lavoro e dipendente.
Questa valutazione di proporzionalità spetta al giudice di merito, il quale deve esaminare ogni aspetto concreto della condotta del lavoratore, tenendo conto del contesto in cui tale comportamento si è svolto, del grado di affidabilità richiesto dalle mansioni e della reiterazione di atteggiamenti non collaborativi.
Precisato che il giudizio di proporzionalità può essere sindacato dalla Cassazione solo in determinate ipotesi (manifesta illogicità, omissione di elementi decisivi o contraddittorietà della motivazione), i giudici di legittimità hanno confermato il licenziamento nel caso analizzato: la condotta della dipendente aveva compromesso il rapporto fiduciario con il datore di lavoro e proprio tale modo di fare giustificava il licenziamento per giusta causa.
Infatti, secondo la Suprema Corte, in tema di responsabilità disciplinare ai sensi della lett. b) del comma 1 dell’art. 55 quater del D. Lgs. n. 165 del 2001 (Testo unico sul pubblico impiego), nel giudizio di proporzionalità tra comportamento del dipendente e sanzione disciplinare è rilevante la condotta che, per la sua gravità, possa fare venir meno la fiducia del datore di lavoro e rendere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali.
Pertanto, ai fini della congruità del licenziamento, è determinante la potenziale influenza della condotta del dipendente che – per le modalità e il contesto – possa fare dubitare della futura correttezza dell’adempimento della prestazione lavorativa, denotando una violazione degli obblighi di diligenza, buona fede e correttezza.