Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Perugia aveva confermato la sentenza con cui il Tribunale della stessa città aveva rigettato l’impugnativa del licenziamento proposta da un soggetto, che era stato, appunto, licenziato per assenza ingiustificata dal servizio.
Evidenziava la Corte d’appello, infatti, che il lavoratore si era assentato dal lavoro per malattia, preannunciando alla società datrice di lavoro che avrebbe successivamente usufruito delle ferie che avanzava “avendo necessità di tempo libero per frequentare un corso e per sottoporsi a terapie”.
La società datrice di lavoro non aveva dato il proprio assenso alle ferie ma, ciononostante, il lavoratore non si era presentato al lavoro, con la conseguenza che la società in questione gli aveva contestato l’assenza ingiustificata.
Osservava la Corte d’appello, in proposito, che non sussiste “alcun diritto a mutare il titolo dell’assenza da malattia a ferie per evitare la decorrenza dei periodo di comporto”.
Ritenendo la decisione ingiusta, il lavoratore aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Secondo il ricorrente, in particolare, la società aveva autorizzato verbalmente la fruizione delle ferie, con la conseguenza che il licenziamento intimato non poteva considerarsi legittimo.
La Corte di Cassazione riteneva, in effetti, di dover dar ragione al ricorrente, accogliendo il relativo ricorso, in quanto fondato.
Osservava la Cassazione, infatti, che, se è vero che “il godimento di ferie non autorizzate è idoneo a configurare assenza ingiustificata”, vale, tuttavia, il principio secondo cui “la valutazione della proporzionalità tra il comportamento illecito del lavoratore dipendente e la sanzione irrogata sul piano disciplinare costituisce un apprezzamento di fatto che deve essere condotto non in astratto ma con specifico riferimento a tutte le circostanze del caso concreto”, tenendo il considerazione le “specifiche modalità del rapporto”, nonché le intenzioni del lavoratore.
Occorre sempre, dunque, che la condotta sanzionata rientri nella nozione di “giusta causa” di licenziamento, “tenendo conto della gravità del comportamento in concreto del lavoratore, anche sotto il profilo soggettivo della colpa o del dolo”.
Nel caso di specie, pertanto, il giudice, nel valutare la natura ingiustificata dell’assenza del lavoratore e la sua gravità, avrebbe dovuto tenere in considerazione il fatto che il lavoratore stesso aveva richiesto l’autorizzazione alle ferie e che tale richiesta era stata “motivata con riferimento ad esigenze obiettive”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dal lavoratore, annullando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte d’appello, affinchè la medesima decidesse nuovamente sulla questione, in base ai principi sopra enunciati.