La questione trae origine dai seguenti fatti.
Un paziente citava in giudizio la struttura sanitaria nella quale era stato ricoverato e sottoposto ad un intervento per la stabilizzazione della spalla.
Seppur l’intervento fosse stato eseguito correttamente ed in conformità delle vigenti linee guida, il paziente eccepiva l’assoluta inutilità dello stesso.
Tanto il Tribunale, quanto la Corte di Appello, rigettavano le domande del paziente, ritenendole del tutto infondate.
La pronuncia veniva allora impugnata in Cassazione.
I Giudici della Suprema Corte, in completo disaccordo con quanto deciso dai precedenti giudici di merito, hanno così statuito che: “l'esecuzione di un intervento avvenuto correttamente, allorquando non determini un peggioramento dello stato di salute, ma si riveli inutile, incidendo sulla sfera personale del paziente, è foriero di danni, soprattutto laddove la prestazione sanitaria, nel suo complesso, non sia adeguata alle condizioni del paziente, in quanto
- non preceduta da un idoneo trattamento preparatorio,
- né seguita da un necessario trattamento di riabilitazione".
La condotta di inadempimento - di cui all'art. 1218 del c.c. - ravvisabile in questi due comportamenti omissivi, dunque, determina un c.d. "danno evento”, rappresentato dall'essersi verificata un'ingerenza nella sfera psico-fisica ingiustificata e non giustificata neppure da rilascio di consenso informato all'intervento.
Ne scaturisce anche un "danno conseguenza” che si identifica:
- nella menomazione delle normali implicazioni dell'agire della persona e, quindi, nella relativa sofferenza per la detta privazione, per tutto il tempo preparatorio dell'intervento, durante quello necessario per la sua esecuzione e durante quello occorso per la fase postoperatoria;
- nella sofferenza notoriamente ricollegabile alla successiva percezione dell'esito non risolutivo dell’intervento.