Nel caso esaminato dalla Cassazione, il Tribunale aveva condannato una condomina in relazione alla contravvenzione di cui all’art. 674 del c.p. (“getto pericoloso di cose”), “per avere, con colpa legata all’utilizzo di sostanze irritanti in un cortile ad uso comune con altre famiglie e senza alcun preavviso, versato una quantità di creolina idonea a provocare emissioni di vapori” che, inalati da altri due condomini, “avevano cagionato loro un ‘forte fastidio agli occhi e alla gola’”.
Secondo il Tribunale, infatti, risultava provato “che l’imputata avesse sparso una sostanza chimica, denominata ‘creolina’, nel cortile condominiale, al fine di eliminare i residui organici e il relativo odore prodotte dal gatto dei vicini di casa”.
Risultava, inoltre, accertato, secondo il Tribunale, che “in conseguenza di tale azione, costoro avessero subito un ‘forte fastidio agli occhi e alla gola’”.
Risultava, dunque, integrata, a dire del giudice di primo grado, il reato di “getto pericoloso di cose”, di cui all’art. 674 c.p., che è configurabile “anche in presenza di ‘immissioni olfattive’, rientrando tra le ‘emissioni di gas, vapore o fumo atte ad offendere o imbrattare o molestare persone’, tutte le sostanze volatili che emanino ‘odori’ provocanti disturbo, disagio o fastidio alle persone”.
Giunti al terzo grado di giudizio, la condomina condannata evidenziava l’ingiustizia della pronuncia di condanna, non essendo stato adeguatamente provato che “l’emissione di vapori, contestata all’imputata, sia avvenuta in violazione delle norme che regolano l’inquinamento atmosferico”.
La corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di dover aderire alle argomentazioni svolte dalla ricorrente, confermando la sentenza di condanna.
Secondo la Cassazione, infatti, la sentenza impugnata aveva evidenziato, con motivazione coerente e logica, “le ragioni per le quali ha ritenuto provato sia che il versamento della creolina, nell’aria condominiale comune, fosse stato compiuto dall’imputata, avendo ella pacificamente ammesso tale circostanza; sia che la sostanza fosse idonea, per la sua tossicità, a determinare un pregiudizio per la salute dei presenti, anche tenuto conto che l’odore acre persisteva nell’ambiente anche a distanza di alcuni giorni, secondo quanto riferito dal teste della A.S.L.”.
Di conseguenza, secondo la Corte, il giudice aveva correttamente ritenuto che fosse stata integrata la fattispecie di cui all’art. 674 c.p., che è finalizzato “a punire la produzione di emissioni pericolose o comunque moleste” che “non devono essere necessariamente di origine industriale, ma che possono essere riconducibili a qualunque ordinaria attività umana”.
Ciò che rileva, infatti, ai sensi della configurabilità del reato in questione, è che “l’emissione odorigena sia tale da poter determinare (…) una situazione di disturbo, disagio o fastidio nelle persone”.
Nel caso di specie, pertanto, la fattispecie doveva dirsi integrata, in quanto la condotta descritta aveva “determinato la diffusione nello spazio condominiale di gas o vapori dalla accertata capacità offensiva o comunque molestatrice”, secondo una modalità operativa che appariva “chiaramente riconducibile al paradigma normativo”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dalla condomina, confermando la sentenza impugnata e condannando la medesima al pagamento delle spese processuali.