La vicenda vedeva protagonista un uomo che, vistosi ridurre in appello la pena inflittagli per i reati di truffa e falso in assegno circolare, proponeva ricorso in Cassazione lamentando la violazione dell’art. 606 del c.p.p. in relazione all’identificazione dell’imputato quale autore dei reati contestati.
La Suprema Corte, pur dichiarando inammissibile il ricorso proposto perché infondato, ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata in relazione al falso in assegno circolare, non essendo tale condotta più prevista dalla legge come reato.
I giudici di legittimità hanno, infatti, ritenuto di dover applicare il principio di diritto, dagli stessi più volte ribadito, per cui l’inammissibilità dell’unico motivo di ricorso proposto non impedisce la declaratoria di proscioglimento per intervenuta depenalizzazione, dovendo, pertanto, affermare che il reato di falso in assegno circolare non è più previsto dalla legge come reato.
In merito a tale fattispecie, infatti, si sono pronunciate le Sezioni Unite della medesima Corte che, con la sentenza n. 40256/2018, hanno affermato che “in tema di falso in scrittura privata, a seguito dell'abrogazione dell'art. 485 del c.p. e della nuova formulazione dell’art. 491 del c.p. ad opera del d.lgs. 15 gennaio 2016 n. 7, la condotta di falsificazione dell'assegno bancario avente clausola di non trasferibilità non rientra più tra quelle soggette a sanzione penale ed integra un illecito civile, mentre permane la rilevanza penale dei falsi in titoli di credito trasmissibili per girata”.
Secondo le Sezioni Unite infatti, la ratio sottesa all’art. 491 del c.p. “è strettamente connessa al maggior pericolo di falsificazione insito nel regime di circolazione dei titoli trasmissibili in proprietà mediante girata, trattandosi di un meccanismo circolatorio particolarmente esposto per le sue caratteristiche a condotte insidiose ed idonee a pregiudicare l'affidamento di una pluralità di soggetti sulla correttezza degli elementi indicati nel titolo”.
Alla luce di ciò, dato che ai sensi dell’art. 49, comma 7, d.lgs. 231/2007 gli assegni circolari sono, di regola, non trasferibili, secondo gli Ermellini il fatto deve ritenersi non più previsto come reato. La non trasferibilità dell’assegno, infatti, lo immobilizza in capo al beneficiario, facendo venir meno il requisito della maggiore esposizione a pericolo della falsificazione che giustifica la più rigorosa tutela penale.
Sulla scorta di tali osservazioni effettuate dalle Sezioni Unite, la Suprema Corte, nel giudicare il caso di specie, ha evidenziato come le stesse, seppur in modo incidentale, si riferissero, non solo agli assegni bancari non trasferibili, bensì anche a quelli circolari non trasferibili.
Per la Cassazione, dunque, si può affermare che “con l'entrata in vigore del d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, la politica di decriminalizzazione ha intrapreso una nuova strada di arretramento del diritto penale che ha comportato la trasformazione di taluni reati (a tutela della fede pubblica, dell'onore e del patrimonio) in illeciti civili a cui applicare sanzioni pecuniarie punitive irrogate dal giudice civile che si aggiungono alla sanzione riparatoria del risarcimento del danno”.