La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30798 del 21 giugno 2017, si è occupata proprio di questa questione, fornendo alcune interessanti precisazioni sul punto.
Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Trieste aveva confermato la sentenza con cui il Tribunale di Tolmezzo aveva condannato un imputato per il reato di “atti osceni” (art. 527 c.p.), in quanto il medesimo, in tre occasioni, aveva posto in essere degli atti di autoerotismo (a volte all’interno di un’auto parcheggiata sulla pubblica via e una volta all’interno di un parco pubblico), nella consapevolezza che erano presenti alcune minorenni.
Ritenendo la decisione ingiusta, l’imputato aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
La Corte d’appello riteneva di dover dar solo parzialmente ragione all’imputato, per le ragioni che seguono.
Osservava la Cassazione, in particolare, che, dopo l’emanazione della sentenza di secondo grado, era entrato in vigore il decreto legislativo n. 8 del 2016, che aveva depenalizzato il reato di cui all’art. 527, primo comma, c.p..
Conserva, infatti, rilevanza penale solo l’ipotesi di cui al comma secondo della disposizione, che riguarda la condotta di “atti osceni” che sia stata posta in essere all’interno o nelle vicinanze di “luoghi abitualmente frequentati da minori”.
La Cassazione, dunque, riteneva di dover accertare se la condotta contestata all’imputato rientrasse nell’ambito di applicabilità del primo o del secondo comma dell’art. 527 c.p., al fine di verificare se la condotta fosse ancora penalmente rilevante.
Ebbene, sul punto, la Cassazione osservava che, dagli accertamenti effettuati, era emerso che l’imputato aveva commesso la condotta di “atti osceni” in presenza di minorenni ma non risultava che la condotta stessa fosse stata posta in essere in un luogo “abitualmente frequentato da minori”, come richiesto dal secondo comma dell’art. 527 c.p.
Precisava la Cassazione, infatti, che può parlarsi di luogo “abitualmente frequentato da minori” solo quando, “sulla base di una attendibile valutazione statistica, sia altamente probabile che il luogo presenti la presenza di più soggetti minori di età”.
Sulla base di queste considerazioni, dunque, la Cassazione riteneva di poter ragionevolmente escludere che la condotta contestata all’imputato potesse rientrare nell’ambito di applicabilità dell’art. 527 c.p., dal momento che nella descrizione del fatto contestato non vi era alcun elemento da cui potesse desumersi che il luogo in cui era stato commesso il fatto addebitato avesse caratteristiche tali da poter essere definito come “abitualmente frequentato da minori”.
Ciò considerato, la Cassazione accoglieva il ricorso proposto dall’imputato, annullando la sentenza impugnata, in ragione dell’intervenuta depenalizzazione del reato di “atti osceni”.