La questione sottoposta al vaglio dei giudici di legittimità era nata in seguito alla notificazione, eseguita dall’Agenzia delle Entrate, nei confronti di due contribuenti, una società ed un soggetto privato, di due avvisi di accertamento per Irap, IVA e Irpef, a titolo di maggior reddito d’impresa con riferimento alla vendita di sei unità immobiliari.
Il ricorso presentato dai due contribuenti, avverso i provvedimenti dell’Ente di riscossione, veniva, tuttavia, rigettato sia dalla Commissione Tributaria Provinciale che dalla Commissione Tributaria Regionale. Quest’ultima, in particolare, riteneva utilizzabile e probante il contratto preliminare concluso con i successivi acquirenti degli immobili, il quale faceva riferimento ad un importo maggiore rispetto a quello effettivo di vendita e indicato per concludere il relativo contratto di mutuo. I giudici di secondo grado, infatti, concordemente con il giudice di prime cure, rilevavano come, con riferimento a tale contratto preliminare, i ricorrenti si fossero limitati a presentare una denuncia penale senza mai azionare, di fronte al giudice ordinario, una formale querela di falso ai sensi dell’art. 221 del c.p.c., nonché come, in sede d’appello, i due avessero sostenuto la sufficienza, ai fini dell’inutilizzabilità di detta documentazione, del già operato disconoscimento della sottoscrizione apposta sulla scrittura privata, senza, però, documentarlo in alcun modo.
Contro la sentenza pronunciata al termine del giudizio d’appello, i contribuenti proponevano ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando, principalmente, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2702 del c.c. e degli articoli 214 e 216 del c.p.c., in relazione alla negata sufficienza, ai fini dell’esclusione dell’efficacia probatoria di una scrittura privata, del disconoscimento giudiziale della relativa sottoscrizione, non seguito da un giudizio di verificazione.
La Suprema Corte ha accolto il suddetto motivo di ricorso, cassando con rinvio la sentenza impugnata.
Secondo gli Ermellini, concordemente a quanto sostenuto dai ricorrenti, i giudici di merito hanno errato nel ritenere utilizzabile e probante il contratto preliminare concluso con i successivi acquirenti, nonostante l’intervenuto disconoscimento giudiziale dello stesso e in assenza di verificazione, motivando la propria decisione soltanto sull’assenza di una formale querela di falso.
La Commissione Tributaria Regionale avrebbe, infatti, dovuto applicare il principio di diritto per cui: “nel processo tributario, in forza del rinvio operato dal d.lgs. n. 546 del 1992, articolo 1, comma 2, alle norme del codice di procedura civile, trova applicazione l'istituto di cui all'articolo 214 c.p.c. e ss., con la conseguenza che, in presenza del disconoscimento della firma - la cui tempestività, in forza della struttura del giudizio tributario, deve valutarsi con riferimento alla proposizione del ricorso con cui è impugnato l'atto impositivo fondato sulla scrittura privata - il giudice ha l'obbligo di accertare l'autenticità delle sottoscrizioni, altrimenti non utilizzabili ai fini della decisione, e a tale accertamento procede ove ricorrano le condizioni per l'esperibilità della procedura di verificazione” (cfr. Cass. Civ., n. 13333/2019).