Il caso sottoposto all’esame della Cassazione ha visto come protagonista un automobilista, a cui era stata irrogata una sanzione per violazioni del codice della strada, consistenti “nel passaggio con semaforo rosso, utilizzo del telefono cellulare e mancato uso della cintura di sicurezza”.
Nel corso del giudizio davanti al Giudice di pace di opposizione alla sanzione, l’automobilista aveva proposto querela di falso contro i verbali di contestazione redatti dall’agente della polizia municipale, la quale veniva rigettata in primo grado ma accolta in grado d’appello.
L’agente municipale, dunque, aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della suddetta decisione.
Evidenziava il ricorrente, in particolare, come la Corte d’appello avesse erroneamente ritenuto provata la falsità del verbale di accertamento, basando la propria decisione su elementi probatori a cui, al più, poteva essere riconosciuto il valore di “presunzioni semplici, sprovviste delle caratteristiche prescritte dall’art. 2729 c.c. e quindi non idonee a superare il valore di prova legale dell’atto pubblico”.
La Corte di Cassazione riteneva di dover aderire alle considerazioni svolte dal ricorrente limitatamente al mancato utilizzo, da parte del conducente, delle cinture di sicurezza, rigettandole, invece, riguardo al semaforo rosso e al cellulare.
Osservava la Cassazione, infatti, che - mentre “in relazione al passaggio con semaforo rosso e all’utilizzo del telefono cellulare” la Corte d’appello aveva motivatamente ritenuto di aver raggiunto il proprio convincimento “circa la falsità delle relative attestazioni” - con riferimento alla contestazione relativa al mancato uso delle cinture, la Corte aveva precisato che, non essendo stato possibile verificare la circostanza, poteva ritenersi provata la non veridicità dell’attestazione contenuta nel verbale.
Ebbene, secondo la Cassazione, la Corte d’appello, così decidendo, aveva accollato le conseguenza dell’insufficienza probatoria sull’agente di polizia, anziché sul querelante, “applicando in modo erroneo le regole della prova, che vogliono che il rischio del mancato raggiungimento della prova del fatto, in questo caso la falsità dell’attestazione del mancato utilizzo delle cinture di sicurezza, sia addossato nei confronti di chi il fatto allega”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione accoglieva parzialmente il ricorso proposto dall’agente, annullando la sentenza impugnata in relazione al relativo punto e rinviando la causa alla Corte d’appello, affinchè la medesima decidesse nuovamente sulla questione, sulla base dei principi sopra enunciati.