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Decesso del lavoratore dipendente ubriaco

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Decesso del lavoratore dipendente ubriaco
Esclude la responsabilità del datore di lavoro il rilevamento di un tasso alcolemico elevato nel lavoratore deceduto a seguito di una caduta dal ponteggio su cui si trovava.
Il Tribunale di Macerata, con una sentenza del 14 settembre 2016, si è pronunciato in ordine ad un interessante caso in materia di diritto del lavoro e, in particolare, di responsabilità del datore di lavoro per gli infortuni sul luogo di lavoro (decreto legislativo n. 38 del 2000, Testo Unico n. 1124/1965).

Nel caso esaminato dal Tribunale, un lavoratore aveva subito un infortunio mente stava effettuando dei lavori sui muri esterni di un’abitazione.

Il lavoratore, in particolare, mentre si trovava sul ponteggio installato dalla ditta datrice di lavoro, era caduto nel vuoto, decedendo a seguito del forte impatto.

Nonostante gli accertamenti effettuati dagli organi competenti, questi non erano in grado di ricostruire con certezza la dinamica dell’infortunio, dal momento che, al momento del fatto, non erano presenti testimoni.

In ogni caso, dai sopralluoghi effettuati, veniva assodato che il lavoratore si trovava su un ponteggio in cui vi erano due aperture nel vuoto, “una al primo e l'altra al secondo piano, in corrispondenza della zona soprastante il corpo del malcapitato”, con la conseguenza che, secondo i tecnici, poteva ipotizzarsi che il lavoratore fosse “precipitato nel vuoto cadendo rovinosamente a terra, finendo la sua corsa sul piano di calpestio esattamente nella posizione supina in cui è stato rinvenuto dal primo soccorritore”.

Dalla relazione infortunistica si evinceva che il lavoratore avesse un livello alcolemico pari a 2,0 g/l, “indicativo di un pieno stato di ubriachezza; stato che influisce sicuramente sul senso di orientamento, sul mantenimento dell'equilibrio, sul coordinamento motorio, nonché sulla reattività al pericolo”.

Secondo la relazione stessa, tale stato di ubriachezza faceva supporre che fosse intervenuto a causare il sinistro mortale, non solo un “fattore ambientale (presenza di aperture)” ma “anche un fattore soggettivo (perdita di equilibrio, mancanza di coordinamento motorio, rallentamento dei riflessi)”, il cui contributo, tuttavia, appariva di difficile determinazione.

Il Tribunale, pronunciandosi in ordine alla questione relativa alla responsabilità del sinistro mortale, evidenziava che “le norme antinfortunistiche mirano a tutelare il lavoratore anche da incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza e imperizia, e quindi la responsabilità del datore di lavoro (e in generale del soggetto obbligato ad adottare la misura di prevenzione) può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo da un comportamento del lavoratore eccezionale, abnorme, esorbitante rispetto al procedimento lavorativo e alle precise direttive organizzative ricevute, del tutto imprevedibile o inopinabile”.

Secondo il giudice, tale esenzione di responsabilità “può verificarsi solo in presenza di un comportamento imprudente del lavoratore che o sia posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli (e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro) o rientri nelle mansioni che gli sono proprie, ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro

Osservava il giudice, infatti, come “la causa sopravvenuta sufficiente da sola alla produzione dell'evento e quindi interruttiva del nesso eziologico è soltanto quella (nel nostro caso la condotta del lavoratore) del tutto indipendente dal fatto posto in essere dall'agente, avulsa totalmente dalla sua condotta ed operante in assoluta autonomia, in modo da sfuggire al controllo ed alla prevedibilità dell'agente medesimo”.

Nel caso di specie, il giudice riteneva che “il dubbio irrisolto” in ordine alle cause dell’evento mortale, non potesse che risolversi “a favore dell'imputato, in quanto presunto innocente (art. 27 Cost.).


Infatti, sussisteva una mancanza di prova sia in ordine “all'autore della condotta causale, consistita nella creazione delle aperture attraverso le quali avvenne la precipitazione mortale”, sia in ordine “alla consapevolezza dell'imputato in ordine a quella situazione pericolosa”.

Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale procedeva all’assoluzione dell’imputato, permanendo il dubbio che l’evento mortale fosse stato determinato dalla condotta del lavoratore medesimo, che si trovava sul ponteggio in stato di ubriachezza.


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