La questione sottoposta al vaglio degli Ermellini nasceva dal ricorso proposto da un contribuente, dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, contro la cartella esattoriale notificatagli dall’Agenzia delle Entrate per il pagamento di due annualità della tassa automobilistica. Il ricorso veniva rigettato con riferimento ad una delle due annualità e, rispetto all’altra, veniva dichiarata la cessazione della materia del contendere.
La pronuncia di primo grado veniva, dunque, impugnata di fronte alla Commissione Tributaria Regionale, la quale accoglieva l’appello alla luce dell’intervenuta prescrizione del debito tributario, disponendo, tuttavia, la compensazione delle spese, trattandosi, a suo avviso, di questioni controvertibili.
Avverso la sentenza d’appello, il contribuente proponeva ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione, eccependo la violazione degli articoli 15 e 36 del Codice del processo tributario, dell’art. 92 del c.p.c., del comma 2 dell’art. 118 delle disp. att. c.p.c. e dell’art. 111 Cost. Secondo il ricorrente, infatti, la Commissione Tributaria Regionale, pur avendo accolto integralmente l’appello, giudicando fondati i motivi di doglianza da lui stesso presentati, in relazione all’avvenuta prescrizione del proprio debito con il fisco, aveva disposto la compensazione delle spese del giudizio in maniera del tutto arbitraria ed ingiustificata.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso, ritenendo fondato il motivo di doglianza.
Gli Ermellini hanno rilevato come l’art. 15 del codice proc. tributario, nella versione modificata dal d.lgs. n. 156/2015, applicabile ratione temporis al caso di specie, preveda, al comma 2, che le spese di giudizio possano essere compensate “qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate”.
Tali “gravi ed eccezionali ragioni”, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, devono essere indicate espressamente nella motivazione e devono, altresì, riguardare specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa, non potendo essere espresse con una formula generica inidonea a consentire il necessario controllo, quale l’espressione “questioni controvertibili” utilizzata dai giudici di secondo grado in relazione al caso de quo (cfr. Cass. Civ., n. 22310/2017; Cass. Civ., n. 14411/2016; Cass. Civ., n. 11217/2016).