Nel caso esaminato dalla Cassazione, un soggetto aveva agito in giudizio nei confronti dell’Agente della riscossione e del Comune di Catania, chiedendo la condanna dei medesimi al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito a seguito dell’emissione di ruoli e cartelle esattoriali di pagamento poi annullati dal giudice di pace.
Il Giudice di Pace, pronunciatosi in primo grado, aveva accolto la domanda dell’attore e la sentenza era stata confermata dal Tribunale.
L’agente della riscossione, dunque, decideva di proporre ricorso per Cassazione, evidenziando come il Giudice di primo grado avesse riconosciuto sia il danno patrimoniale (spese avvocato) che il danno non patrimoniale (tempo perso, stress, etc.), malgrado non ne fosse stata provata né l’esistenza né la quantificazione.
Secondo il ricorrente, infatti, “non si comprenderebbe quale danno patrimoniale sia stato riconosciuto, né come danno emergente né come lucro cessante”.
Di conseguenza, secondo l’agente della riscossione, il Tribunale avrebbe dovuto riformare la decisione del Giudice di Pace, per violazione degli artt. 2056 e 1123 cod. civ.
Quanto al danno non patrimoniale, inoltre, il ricorrente evidenziava come il medesimo debba essere riconosciuto solo quando vengano in gioco “interessi di rilievo costituzionale oppure norme che espressamente prevedono la risarcibilità del danno non patrimoniale (S.U. 11 novembre 2008 n. 26972), nonché la gravità dell’offesa, in quanto la lesione deve superare una soglia minima per bilanciare il principio di solidarietà nei confronti della vittima del danno con il principio di tolleranza”.
Nel caso di specie, invece, “mancherebbe il requisito minimo per la risarcibilità, non avendo controparte spiegato quale prostrazione psicologica e quale senso di pericolo e di impotenza possano esserle derivati dal rischio di dover versare al Comune di Catania la complessiva somma di Euro 428,19, tenuto conto anche della sua professione”.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle argomentazioni svolte dal ricorrente, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.
La Cassazione, infatti, osservava che il giudice d’appello avesse adeguatamente e coerentemente motivato la propria decisione e come non potesse, in sede di giudizio di Cassazione, rimettere in discussione la valutazione fattuale operata dal Tribunale (si ricorda, infatti, che la Corte di Cassazione si limita a esaminare la legittimità della decisione di secondo grado, senza rientrare nel merito della questione).
La Corte di Cassazione, in particolare, nel confermare la risarcibilità del danno morale subito dal contribuente cui sia stata notificata una cartella di pagamento poi risultata illegittima, si è adeguata al consolidato orientamento della giurisprudenza, che ritiene risarcibile il danno subito dal contribuente stesso che, dovendo affrontare un procedimento giurisdizionale per ottenere l'annullamento della cartella illegittima, ha - oltre alle spese dell'avvocato - anche perso tempo, oltre che subito un certo stress e sopportato l'ansia derivante dal possibile esito negativo della causa.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dall’agente della riscossione, confermando integralmente la sentenza di secondo grado e compensando tra le parti le spese processuali.