Nel caso di specie l’imputato millantando, in più occasioni, un proprio credito presso dei non precisati pubblici ufficiali, aveva fatto credere a vari soggetti che, consegnandogli una somma di denaro, avrebbe assicurato loro un posto di lavoro nella Pubblica Amministrazione o altri benefici, quali la restituzione di una patente ritirata.
La Corte d’Appello adita riformava parzialmente la pronuncia emessa in primo grado, assolvendo l’imputato dal reato di truffa e riqualificando l’originaria imputazione per il reato di millantato credito, di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 346 del c.p., nella fattispecie di traffico di influenze illecite, ex art. 346 bis del c.p..
Di fronte a tale pronuncia, l’imputato presentava ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione, eccependo l’assenza di continuità normativa tra i primi due commi dell’art. 346 c.p. e l’art. 346 bis c.p.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando con rinvio la sentenza impugnata.
Gli Ermellini hanno evidenziato, innanzitutto, come il comma 2 dell’art. 346 c.p. punisca una forma di raggiro con cui si induca la vittima a concludere un accordo che la impegni ad una prestazione di tipo patrimoniale, fornendole una falsa rappresentazione della realtà. Orbene, secondo l’orientamento giurisprudenziale più risalente, tale fattispecie veniva considerata autonoma rispetto a quella prevista dal comma 1 della stessa norma, ritenendo che la stessa si potesse realizzare soltanto attraverso gli artifici e raggiri propri della truffa, la quale, dunque, si doveva considerare assorbita nel secondo comma dell’art. 346 c.p., stante l’impossibilità di configurare un concorso formale tra le due fattispecie.
La Cassazione, con la pronuncia in esame, si è, però, discostata da tale orientamento, sostenendo che la nuova fattispecie di traffico di influenze illecite, di cui all’art. 346 bis c.p., non sia idonea ad inglobare al suo interno il millantato credito, abrogato dalla l. n. 3/2019. Questo perché, in primo luogo, il millantato credito si rivolgeva prevalentemente alla tutela del patrimonio della vittima che fosse stata truffata dal cd. venditore di fumo, non, invece, del prestigio della P.A. In secondo luogo, il fatto che l’art. 346 bis c.p. non riproponga il termine “pretesto”, usato invece all’art. 346 c.p., rende le due fattispecie non sovrapponibili. Secondo gli Ermellini, infatti, il fatto che l’agente vanti rapporti con la Pubblica Amministrazione, non è finalizzato a trarre in inganno la vittima, ma, piuttosto, a prospettare la concreta possibilità di influire sul soggetto pubblico; comportamento, questo, che risulta essere prodromico rispetto ad un eventuale effettivo coinvolgimento del soggetto pubblico, con la conseguente integrazione di una delle fattispecie corruttive enunciate all’interno dello stesso art. 346 bis c.p.
Al contrario, secondo i giudici di legittimità, sono perfettamente sovrapponibili i reati di millantato credito e di truffa, in quanto il primo richiede la falsa rappresentazione della realtà che induca la vittima ad eseguire una prestazione patrimoniale, elemento, questo, caratteristico della truffa ex art. 640 del c.p..