Allo scopo di tentare di ridurre tale tipologia di contenzioso, il Tribunale di Milano, con l’ordinanza del 23 marzo 2016, ha dettato alcuni principi fondamentali, i quali, c’è da augurarsi, abbiano adeguato seguito.
In particolare, la pronuncia del Tribunale sorge nell’ambito di un procedimento di separazione giudiziale di un coppia, nel corso del quale la stessa aveva dimostrato di essere fortemente in conflitto, soprattutto per quanto riguardava l’affidamento e il mantenimento della figlia minore.
Tale forte conflittualità aveva indotto il Giudice, addirittura, ad affidare la figlia al Comune di residenza, come previsto dall’art. 333 del c.c.., in base al quale “quando la condotta di uno o di entrambi i genitori non è tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza prevista dall'articolo, ma appare comunque pregiudizievole al figlio, il giudice, secondo le circostanze, può adottare i provvedimenti convenienti e può anche disporre l'allontanamento di lui dalla residenza familiare ovvero l'allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore.
Tali provvedimenti sono revocabili in qualsiasi momento”.
Inoltre, il giudice, nell’adottare i provvedimenti provvisori e urgenti, aveva anche regolato i tempi di visita della figlia minore da parte del genitore non collocatario, prevedendo che il medesimo avesse diritto a trascorrere con la medesima le “festività pasquali”.
Nel corso del procedimento, tuttavia, la madre chiedeva al Giudice di disporre più precisamente in ordine ai tempi e alle modalità di frequentazione della figlia durante quelle che il giudice aveva genericamente definito “festività pasquali”, chiarendo il giorno, l’ora e il luogo precisi in cui il padre avrebbe dovuto prendere e riaccompagnare la figlia.
Il Tribunale, tuttavia, riteneva tale richiesta inammissibile, sulla base di quanto previsto dall’art. 709 ter c.p.c., il quale prevede che “per la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all'esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità dell'affidamento è competente il giudice del procedimento in corso. Per i procedimenti di cui all'articolo 710 c.p.c. è competente il tribunale del luogo di residenza del minore.
A seguito del ricorso, il giudice convoca le parti e adotta i provvedimenti opportuni. In caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento, può modificare i provvedimenti in vigore”.
In particolare, secondo il Giudice, la richiesta sarebbe stata inammissibile in quanto, lo strumento previsto dall’art. 709 ter c.c. deve ritenersi utilizzabile solo quando risulti impossibile per i genitori raggiungere un accordo in ordine alle decisioni che riguardano la vita del figlio, con conseguente pericolo di pregiudizio per il minore stesso con riferimento agli “affari essenziali” del figlio minore, vale a dire quelli che riguardano la sua educazione, istruzione, salute e residenza abituale, come già affermato dal medesimo Tribunale di Milano, con la sentenza del 7 luglio 2015.
Invece, “per risolvere problemi di “micro-conflittualità” anche l’avvocato dei genitori ha l’onere di scoraggiare, a tutela del primario interesse del minore, litigi strumentali fondati su situazioni prive di rilevanza”.
Il Tribunale, quindi, dimostra di evidenziare l’importante ruolo dell’avvocato delle parti in questa tipologia di procedimenti (responsabilizzando indirettamente la categoria forense ad assumere un contegno moralmente apprezzabile), il quale deve fare tutto quanto in proprio potere per disincentivare l’utilizzo strumentale del processo (evitando di essere il primo a gettare benzina sul fuoco, come talvolta accade), quando si tratti di risolvere conflitti di poco conto, dal momento che processi inutili si pongono anche in contrasto con il prevalente interesse del minore.
Nel caso di specie, invece, l’avvocato della madre aveva dimostrato di non aver svolto adeguatamente tale suo compito, poiché non aveva adeguatamente dissuaso la madre dall’avanzare una richiesta al giudice in ordine a questioni di “micro-conflittualità”, quando, invece, erano sicuramente prospettabili delle modalità alternative di soluzione della querelle.