E’ chiaro che il Giudice, nel valutare le decisioni da prendere in merito all’affidamento dei figli e alla regolamentazione dei rapporti personali e patrimoniali tra i coniugi, dovrà prendere in considerazione la complessiva situazione all’interno della famiglia, soprattutto allo scopo di tutelare il prevalente interesse dei figli stessi.
Un caso particolare di separazione tra coniugi litigiosi è stato esaminato alcuni mesi fa dal Tribunale di Roma, che ha emanato una sentenza che fornisce alcune interessanti indicazioni (sentenza n. 23857 del 13.11.2015).
In questo caso, il Giudice, dopo aver preso atto dell’assoluta impossibilità di una riconciliazione tra i coniugi, pronuncia la separazione giudiziale dei coniugi, dando precise indicazioni per quanto riguarda i conseguenti provvedimenti in materia di affidamento della figlia minore.
Il Tribunale ricorda come la regola generale sia quella dell’affidamento condiviso (il figlio, quindi, normalmente, viene affidato ad entrambi i genitori), in quanto l’affidamento esclusivo può essere disposto solo quando la prima ipotesi sia assolutamente non conforme all’interesse del figlio.
In particolare, il Giudice giunge a chiedersi quale possa essere la conseguenza della notevole e indiscussa conflittualità tra i coniugi, che ha portato addirittura “il padre, sin dal suo allontanamento dalla casa coniugale risalente al maggio 2011, ad interloquire direttamente con la figlia, cui comunicava senza alcuna forma di dialogo con la moglie, i giorni infrasettimanali in cui la avrebbe tenuta con sé”.
Secondo il giudice, tuttavia, non risulta in alcun modo dimostrato che questa conflittualità sia tale da recare danno alla figlia, così da giustificare l’affidamento esclusivo alla madre.
Il Tribunale, però, non si disinteressa totalmente di questa situazione, e dispone l’affidamento condiviso ma, al tempo stesso, impone ai genitori un obbligo preciso, allo scopo di attenuare i litigi in famiglia.
Il Giudice, infatti, onera entrambi i coniugi di sottoporsi ad un “percorso di sostegno della genitorialità”, presso i Servizi Sociali, allo scopo, appunto, di ridurre questa pesante situazione di conflitto all’interno della famiglia e di tutelare, in primo luogo, l’interesse della figlia minore, che di certo subisce le conseguenze negative di questo clima tra i genitori.
Si tratta, appunto di un onere e non di un vero e proprio obbligo: infatti, un obbligo di questo tipo poteva essere considerato una violazione della libertà personale delle parti. Attraverso la previsione di un semplice onere (quindi, facoltativo), invece, non risulta violato alcun diritto dei coniugi, dal momento che si tratta di un’imposizione che “non è mai, essendo prevista nell’interesse dello stesso soggetto onerato, obbligatoria tanto è vero che è priva di conseguenze sanzionatorie personali nel caso in cui rimanga inattuata, ricadendone semmai gli effetti sul regime di affido applicabile”.
Il fatto che si tratti di un onere e non di un obbligo, inoltre, comporta che lo stesso non possa essere eseguito forzosamente, “trattandosi esclusivamente della condizione posta dal giudice per il raggiungimento della pienezza dei paritetici poteri genitoriali nei confronti dei figli”.
Ciò, in concreto, significa che i genitori non sono obbligati a rivolgersi ai Servizi Sociali per il “percorso di sostegno della genitorialità” ma il mancato adempimento di quest’onere potrebbe determinare una modifica delle condizioni di affidamento, in quanto il Giudice potrebbe revocare l’affidamento condiviso e disporre l’affidamento esclusivo in capo al coniuge ritenuto più idoneo a curare l’interesse del figlio, dal momento che il ricorso al supporto terapeutico è l’unico strumento che il Giudice ha a disposizione per porre “le condizioni per una crescita il più possibile equilibrata e serena della prole in ragione della tutela del superiore interesse del minore che il giudice della famiglia è chiamato in prima istanza a salvaguardare”.