La Corte Costituzionale ha recentemente avuto modo di pronunciarsi sulla questione di legittimità dell’art.
69, comma 4, c.p., il quale sancisce il
divieto di prevalenza della circostanza attenuante del
vizio parziale di mente, di cui all'art.
89 c.p., sulla
circostanza aggravante della
recidiva reiterata, di cui all'art.
99, comma 4, c.p.
Il Tribunale di Reggio Calabria aveva sollevato la questione ritenendo che la norma incriminata impedisse al
giudice di determinare una
pena proporzionata alla concreta gravità del reato in quanto non permetteva di tenere conto del
grado di responsabilità dell’autore: i soggetti affetti da patologie o disturbi della personalità, infatti, non possono dirsi pienamente capaci di intendere e di volere e per questo motivo la possibilità che essi possano essere motivati dalle norme di diritto penale è minore.
Il codice penale, in caso di vizio parziale di mente ex art.
89 c.p., prevede la riduzione della pena fino ad un terzo, ma la
legge ex Cirielli (L. 5 dicembre 2005, n. 251) ha modificato l’art.
69 c.p. ed imposto il divieto per il giudice di applicare detta attenuante nei confronti dell’
imputato che sia
recidivo reiterato, con almeno due condanne per delitti non colposi.
Sia la giurisprudenza costituzionale che quella di legittimità hanno da sempre affermato che l'applicazione della
recidiva si giustifica in quanto il fatto di commettere un nuovo delitto a seguito di una condanna per precedenti delitti non colposi è presupposto espressivo non soltanto di una maggiore pericolosità criminale, ma anche di un
maggior grado di colpevolezza, in quanto la decisione dell’agente di violare le legge penale nonostante l'ammonimento scaturente dalle precedenti condanne può dirsi maggiormente rimproverabile (Cass. pen., SS.UU. sent. n. 35738/2010; Corte Cost., sent. n. 192/2007).
Tuttavia, se il fatto è commesso da un soggetto affetto da
vizio parziale di mente, il grado di rimproverabilità è minore, poiché la sua capacità di discernimento e di autocontrollo è fortemente ridotta. Nel caso di specie, l’imputato parzialmente incapace di intendere e di volere non poteva percepire il valore ammonitorio delle pregresse condanne pronunciate nei suoi confronti per reati omogenei a quello per il quale era stato instaurato il giudizio
a quo, e quindi non poteva ravvisarsi da parte sua una riprovevole insensibilità nei confronti della legge penale, che avrebbe giustificato l'applicazione nei suoi confronti dell'art
99, comma 4, c.p.
Per questo motivo era stata sollevata
questione di legittimità costituzionale dell’art.
69 comma 4 c.p., che impedisce al giudice di diminuire la pena in modo proporzionale in ragione della minore responsabilità soggettiva dell’imputato.
La Corte Costituzionale si è espressa con la sentenza n. 73/2020 accogliendo la questione sollevata dal
tribunale di Reggio Calabria. La Consulta ha ritenuto che il divieto di prevalenza della circostanza attenuante del vizio parziale di mente sull’aggravante della recidiva si ponesse
in contrasto con il principio di proporzionalità della pena rispetto alla gravità del reato ed al grado di rimproverabilità dell'autore, violando gli artt.
3 e
27 della Costituzione.
Ciò, tuttavia, non significa sacrificare le esigenze di tutela della società nei confronti di chi abbia reiteratamente violato la legge penale; infatti, una volta che il
condannato ha scontato la pena, il giudice ha, in ogni caso, la possibilità di disporre nei suoi confronti l'applicazione di una
misura di sicurezza, in modo da contenere la sua pericolosità ed indurlo a curare la propria patologia e reinserirsi nel tessuto sociale.
Per i motivi anzidetti, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'
incostituzionalità dell'art.
69, comma 4, c.p., nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art.
89 c.p. sulla circostanza aggravante della
recidiva di cui all'art.
99, comma 4, c.p.