Come noto, nell’ambito dei procedimenti di separazione e divorzio, il giudice deve stabilire anche le modalità dell’affidamento degli eventuali figli minori: di regola, il giudice disporrà l’affidamento condiviso, il che significa che i figli verranno affidati ad entrambi i genitori, con individuazione del genitore presso il quale il figlio andrà a risiedere stabilmente (si parla, in questo caso, di “genitore collocatario”).
Solo nei casi in cui l’affidamento condiviso non appaia al giudice conforme all’interesse dei figli, egli disporrà l’affidamento esclusivo ad uno dei genitori, che appare più idoneo a provvedere alle esigenze del figlio.
Tali provvedimenti non sono modificabili in via assoluta, dal momento che se la situazione di fatto muta, con la conseguenza che uno dei due genitori ritiene opportuno cambiare le condizioni dell’affidamento, sarà possibile rivolgersi al giudice, il quale valuterà le circostanze sopravvenute e provvederà di conseguenza (cfr. art. 337 quinquies c.c.).
Ebbene, cosa succede se il genitore collocatario si rifà una vita con una nuova compagna, dalla quale aspetta un figlio? Tale circostanza può incidere sull’affidamento?
Secondo la Cassazione, in alcune ipotesi la risposta deve dirsi positiva.
Nel caso esaminato dalla Corte, il figlio era stato affidato in via condivisa ad entrambi i genitori ma collocato presso il padre, il quale aveva successivamente trovato una nuova compagna, dalla quale ora aspettava un altro figlio.
Il figlio minore, aveva, nel caso di specie, un buon rapporto con entrambi i genitori, ma la madre, alla luce di tali nuove circostanze, decideva di agire in giudizio al fine di ottenere una pronuncia del giudice che disponesse il collocamento del figlio presso di lei.
Secondo la madre, la particolare fase della vita del figlio, che si avviava alla scolarizzazione, suggeriva di garantire allo stesso una situazione di maggiore stabilità e tranquillità: nella specie, in tale momento, la madre sarebbe risultata maggiormente idonea ad occuparsi del figlio minore, non avendo l’attenzione concentrata su un altro figlio in arrivo ma, al contrario, potendo concentrare tutte le sue attenzioni su di lui.
Giunti dinanzi alla Corte di Cassazione, la stessa ritiene di dover aderire alle argomentazioni svolte dalla madre.
La Corte ribadisce come il giudice debba adottare i provvedimenti riguardo ai figli, tenendo in considerazione esclusivamente e primariamente il loro interesse, il quale “impone di privilegiare, tra più soluzioni eventualmente possibili, quella che appaia più idonea a ridurre al massimo i danni derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore”.
Secondo la Cassazione, dunque, il giudice del precedente grado di giudizio, che aveva accolto l’istanza di collocamento presso la madre, aveva dovuto necessariamente prendere atto del mutamento della situazione famigliare del padre.
Infatti, precisa la Corte come il giudice, nel decidere il merito al collocamento del minore, debba necessariamente effettuare “un giudizio prognostico”, circa la capacità del genitore di crescere ed educare il figlio, anche con riferimento all’ambiente sociale e famigliare che lo stesso è in grado di offrire al minore.
Secondo la Cassazione, dunque, la Corte d’Appello aveva, del tutto correttamente, ritenuto di confermare l’affido condiviso, in quanto entrambi i genitori avevano dimostrato la capacità di prendersi cura del figlio, ritenendo, tuttavia, preferibile collocarlo presso la madre, “procedendo ad una comparazione tra le caratteristiche del nucleo famigliare della stessa, costituito da altri due figli in età ormai adulta, e quelle della famiglia del padre, in attesa della nascita di un altro figlio, ed attribuendo una portata decisiva alle maggiori attenzioni di cui il minore avrebbe potuto costituire oggetto nel primo ambiente, in un momento particolarmente delicato per il suo sviluppo, quale è quello dell’avvio alla scolarizzazione”.