Nel caso sottoposto ai giudici bolognesi (sent. del 18/05/2016) una società aveva sottoscritto un contratto di collaborazione professionale con un libero professionista (quindi un lavoratore autonomo), incaricandolo di occuparsi dello sviluppo di un software. Nel caso di specie il tribunale adito aveva dichiarato la risoluzione per inadempimento del contratto di collaborazione professionale, condannando il professionista a restituire alla società il codice sorgente del software, inibendolo dall’utilizzo indebito del programma.
Tra la società ed il professionista era stato stipulato un contratto in forza del quale le parti prevedevano una ripartizione del fatturato derivante dalle licenze del software: il 60% a favore della società ed il 40% a favore del professionista.
La differenza percentuale trovava giustificazione nel fatto che l’idea era venuta al legale rappresentante della società e che quest’ultima aveva anche sostenuto i costi per il suo sviluppo.
Il contratto originario veniva poi modificato: il professionista si sarebbe potuto qualificare come unico fornitore del software e si sarebbe impegnato a corrispondere il 60% dei ricavi ottenuti alla società.
A parere del Tribunale il professionista aveva tuttavia disatteso il patto, trattenendo per sé l’intero fatturato ottenuto dallo sfruttamento economico del software ed omettendo quindi di trasferire alla società la parte di ricavi pattuita (da qui la pronuncia di risoluzione per inadempimento).
Per il Tribunale dunque, il comportamento del professionista è tale da ingenerare il grave inadempimento che legittima, ai sensi dell’art. art. 1453 del c.c. c.c., una pronuncia di risoluzione del contratto di collaborazione.
Di conseguenza, il venir meno del contratto ha permesso l’applicazione della regola generale in base alla quale il diritto esclusivo di sfruttamento economico del software risulta essere in capo alla società committente.
Altra conseguenza della reviviscenza del regime legale generale è la palese illegittimità della detenzione da parte dell’ingegnere convenuto dei codici sorgente del software.
La tutelabilità dei software nell’ambito della legge sul diritto d’autore (L. 633/1941), è disciplinata infatti agli artt. 1 e 2 della legge stessa.
La problematica si pone invero circa l’estensione della tutela prevista dalle sopra citate norme anche ai casi in cui lo sviluppo del software venga commissionato da una società ad un libero professionista.
La legge infatti non disciplina tale ipotesi.
I giudici emiliani hanno pertanto primariamente analizzato la disciplina prevista in materia di proprietà intellettuale, con particolare riferimento all’attività di creazione e sviluppo di software, richiamandosi all’orientamento di merito maggioritario (ex pluribus Tribunale di Milano, sent. n. 6964/2014).
Per tale indirizzo, nell’ipotesi in cui il software sia stato commissionato da una società ad un libero professionista, dovranno essere applicate in via analogica le disposizioni previste per i lavoratori subordinati e quindi gli artt. n.12 bis della Legge sul diritto d’autore e n.64 del Codice della Proprietà Industriale.
Il committente, quindi, fermo restando il diritto dello sviluppatore materiale ad essere riconosciuto autore morale del software, acquista l’opera commissionata a titolo originario: è lui l’unico titolare del diritto esclusivo di sfruttamento economico patrimoniale del software (ovviamente, ma non è questo il caso, salvo non vi siano patti contrari tra le parti).