Nel caso esaminato dalla Cassazione, il Tribunale di Salerno aveva condannato un soggetto per il delitto di atti persecutori (art. 612 bis c.p.), in quanto questi aveva più volte minacciato, aggredito e ingiuriato “alcuni minorenni che facevano rumori nel cortile condominiale giocando con un pallone, intimando loro di non arrecare disturbo ed altresì tagliando con un coltello i palloni con i quali i bambini giocavano”.
La Corte d’appello di Salerno, pronunciatasi in grado d’appello, aveva riqualificato il fatto contestato come “violenza privata”, di cui all’art. 610 c.p., e aveva evidenziato che “che i bambini, impauriti per effetto del comportamento tenuto dall’imputato, spesso si vedevano costretti a rientrare in casa o scendevano nel cortile evitando di giocare con la palla”.
Ritenendo la sentenza ingiusta, il condannato proponeva ricorso per Cassazione, osservando che la condotta contestata era stata semplicemente “orientata a far rispettare il regolamento condominiale, il quale prevedeva il divieto di giocare a pallone durante certi orari della giornata”.
Secondo il ricorrente, inoltre, i minori non erano stati affatto impauriti, tanto che gli stessi avevano continuato a scendere nel piazzale dello stabile a giocare.
La Corte di Cassazione riteneva, in effetti, di dover aderire alle argomentazioni svolte dal ricorrente, accogliendo il relativo ricorso.
Evidenziava la Cassazione, in particolare, che il reato di violenza privata è volto a tutelare la “libertà individuale, intesa come possibilità di determinarsi spontaneamente, secondo motivi propri”.
La violenza o la minaccia, tuttavia, è penalmente rilevante solo se è tale da “determinare una perdita o riduzione sensibile, da parte del soggetto passivo, della capacità di determinarsi ed agire secondo la propria volontà”.
Di conseguenza, secondo la Corte, “non ogni forma di violenza o minaccia, quindi, riconduce alla fattispecie dell’art. 610 c.p., ma solo quella idonea - in base alla circostanze concrete - a limitare la libertà di movimento della vittima o influenzare significativamente il processo di formazione della volontà, incidendo su interessi sensibili del coartato”.
Sulla base di tali criteri, dunque, la Cassazione riteneva di dover escludere che nel caso di specie potesse ritenersi sussistente il reato di violenza privata, in quando la condotta dell’imputato era stata motivata “dal rispetto delle regole condominiali e se anche temporaneamente faceva allontanare i minori, non impediva loro di riprendere i giochi che disturbavano la quiete del P.”.
Alla luce di tali considerazioni, ed escluso il carattere offensivo della condotta incriminata, la Corte di Cassazione annullava la sentenza emessa dalla Corte d’appello, “perché il fatto non sussiste”.