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La psicoterapeuta può aprire il proprio studio nel condominio?

La psicoterapeuta può aprire il proprio studio nel condominio?
Possiamo opporci alla delibera dell’assemblea di condominio che acconsente all’apertura di uno studio di una psicoterapeuta nel condominio? In particolare, possiamo appellarci ad una norma del regolamento di condominio che vieti di adibire gli appartamenti a determinati usi che possano arrecare disturbo alla tranquillità dei condomini?

Proprio di questa questione si è occupato recentemente il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 10229 dell’11 maggio 2016.

Nel caso esaminato dal Tribunale, una società proprietaria di un appartamento in un condominio, aveva impugnato la delibera assembleare che non le aveva consentito di dare in locazione l’appartamento stesso ad una psicoterapeuta, che lì voleva aprire il proprio studio.

Il condominio si difendeva, evidenziando come vi fosse una specifica norma del regolamento condominiale che vietava di adibire gli appartamenti ad usi destinati alla cura di “malattie infettive e contagiose”.

Tuttavia, il Tribunale, entrando nel merito della questione, evidenziava come il condominio fosse stato informato della natura dell’attività che sarebbe stata svolta dalla locatrice in questione e come fosse da escludere che tale attività potesse essere assimilata alla cura di malattie infettive e contagiose, di cui alla norma del regolamento di condominio.

Di conseguenza, secondo il Giudice, la delibera assembleare aveva ingiustamente impedito alla società proprietaria dell’appartamento di concederla in locazione alla psicoterapeuta.

Il Tribunale, in particolare, si richiamava a diverse pronunce della Corte di Cassazione, le quali hanno precisato come, nel valutare se una determinata attività debba essere vietata, laddove il regolamento di condominio escluda la possibilità di adibire gli appartamenti ad usi che possono recare disturbo alla quiete e alla tranquillità degli altri condomini, è necessario valutare l'idoneità in concreto della destinazione contestata a produrre gli inconvenienti che si vollero evitare” (Cass., n. 1560 del 1995; Cass., n. 9564 del 1997; Cass., n. 11126 del 1994).

In altri termini, ciò significa che, se lo scopo della disposizione era quello di impedire l’esercizio di attività che possono essere di disturbo, sarà possibile vietare, in concreto, di adibire l’immobile ad un determinato uso, solo se risulti provato che lo stesso recherebbe proprio quel disturbo che la norma del regolamento vuole evitare.

Nel caso di specie, dunque, l’attività della psicoterapeuta non poteva essere vietata, in quanto risultava provato che lo studio avesse “natura privata e nessun legame con la ASL”, mentre il Regolamento vietava solo “di destinare alloggi e locali dell’edificio ad uso di sanatorio e gabinetto di cura, ma solo per malattie infettive e contagiose”, oltre a vietare altri usi, come quello di “scuola di musica o di canto o di ballo o a qualsivoglia altro uso che possa turbare la tranquillità dei condomini”.

Secondo il Giudice, infatti, risultava evidente che la norma del Regolamento di condominio tendeva ad evitare che nello stabile condominiale venissero esercitate attività “del tutto diverse da quella che avrebbe dovuto svolgere la potenziale affittuaria dell’attrice”.


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