La Corte di Cassazione, analizzando le due diverse fattispecie criminose di cui agli artt. 527 e 610 c.p., ha affermato che non si configura l’ipotesi di violenza privata se i soggetti che assistono alla condotta delittuosa non sono costretti ad assistere.
La vicenda da cui ha origine la pronuncia della Suprema Corte concerne un uomo che, approfittando di una minore che apriva il portone di casa, si introduceva nell’androne del palazzo e, nei pressi dell’ascensore, mostrava i propri genitali alla minorenne infrasedicenne chiedendole se fosse interessata.
Instauratosi il procedimento penale a carico dell’uomo, quest’ultimo veniva assolto da due capi di imputazione “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”, riqualificando il fatto alla luce delle differenti norme incriminatrici, e conseguentemente, veniva condannato per i reati di violazione di domicilio, di corruzione di minorenni, di atti osceni.
In parziale riforma della sentenza del G.U.P., la Corte d’appello di Torino riteneva sussistente la violenza privata di cui all’art. 610 c.p., in considerazione di alcuni aspetti, tra i quali: “luogo di commissione del delitto, pubblico, ma al contempo riservato e protetto, l’età infrasedicenne della persona offesa, lo stato di soggezione ingenerato nella ragazzina, la distanza ravvicinata tra l’imputato e la minore durante l’esibizione dei genitali”.
Avverso il provvedimento di secondo grado, l’imputato proponeva ricorso in Cassazione esponendo - per quel che in questa sede interessa - un motivo attinente al reato di violenza privata, deducendo che l’inseguimento della minorenne sin dentro il portone di casa non configurava l’ipotesi di violenza privata, poiché la persona offesa infrasedicenne non era stata costretta ad entrare in ascensore ove l’imputato le avrebbe mostrato i suoi genitali e, quindi, non vi era stata alcuna coazione della libertà altrui.
La Suprema Corte, con sentenza n. 49392/2019, ha ritenuto di dover porre a confronto le due ipotesi delittuose di cui agli artt. 610 e 527 c.p.
Preliminarmente, si è osservato che il giudice di secondo grado aveva erroneamente qualificato la condotta dell’uomo come violenza privata dando rilievo ai particolari fattori suindicati.
Una simile decisione non risulta, però, coerente con il carattere sussidiario del reato di cui all’art. 610 del c.p., secondo cui si configura violenza privata allorquando “chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa” : è pacifico che tale delitto venga assorbito da un’altra fattispecie criminosa, allorquando la violenza o la minaccia sia elemento costituivo o circostanza aggravante di un altro reato.
Peraltro, giova ricordare che la “violenza” è l’uso di qualsiasi energia fisica da cui derivi una coercizione personale, indipendentemente dal mezzo usato, anche se diretto verso terzi, purché idoneo a raggiungere lo scopo della costrizione del soggetto passivo, mentre la “minaccia” si estrinseca nella violenza morale e, dunque, nella prospettazione di un male futuro il cui verificarsi dipende dalla volontà dell’agente e può avere ad oggetto la vita, l’incolumità della persona o la libertà, l’onore, il pudore, non esclusi i beni patrimoniali.
La diversa fattispecie di cui all’art. 527 del c.p. punisce, invece, chiunque commetta “atti osceni”, ovvero quegli atti che suscitano nei consociati una reazione emotiva di disagio, turbamento e repulsione, poiché trattasi di atti e comportamenti che, secondo costumi ed esigenze morali, si svolgono nell’intimità e nel riserbo.
Tale fattispecie incriminatrice ha la natura di illecito di pericolo, atteso che la condotta non richiede il verificarsi di un evento in senso naturalistico, essendo sufficiente la “possibilità” ex ante che terzi assistano a quanto si stia per compiere.
Rilevante è l’evoluzione legislativa che ha modificato l’ipotesi delittuosa in parola, al fine di garantire una maggior tutela al pudore dei minori, a fronte di “atti invasivi della loro libertà sessuale”: dapprima, la L. n. 94/2009 ha introdotto l’aggravante del fatto commesso all’interno o nelle immediate vicinanze di luoghi abitualmente frequentati da minori, laddove ne derivi il pericolo che essi vi assistano”; in seguito, il d. lgs n. 8/2016 ha degradato in illecito amministrativo la fattispecie di cui al comma 1, trasformando la predetta aggravante di cui al secondo comma in un autonomo reato.
Alla luce di tali considerazioni, non essendo stata stata esercitata alcuna forma di costrizione nei confronti della minore, la condotta concretamente posta in essere ben potrebbe essere ricondotta all’ipotesi di cui all’art. 527, comma 2, c.p., atteso che la persona offesa era minorenne e che l'androne condominiale - sulla base di una valutazione ex ante - è un luogo “potenzialmente” frequentabile da minori.
Tuttavia, poiché la Corte d’appello territorialmente competente aveva concluso per la violenza privata, disattendendo il granitico insegnamento giurisprudenziale, secondo cui : "il compimento di atti osceni in luogo pubblico o esposto al pubblico, punibile ai sensi dell'art. 527 c.p., non comporta anche la configurabilità del reato di violenza privata in danno dei soggetti che si trovino ad assistere agli stessi, senza esservi in alcun modo costretti”, la Cassazione ha cassato senza rinvio “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”, trasmettendo gli atti al Prefetto per le determinazioni del caso.