A fronte dell’impiego di tale clausola da parte dell’ente lirico, il cantante aveva avanzato una richiesta di risarcimento del
danno di rilevante importo.
Al fine di negare la possibilità per l’ente lirico di recedere in tal modo dal
contratto, il cantante aveva fatto riferimento all’
art. 2222 del c.c. che disciplina il contratto d’opera, negozio attraverso il quale un soggetto viene incaricato di portare a compimento un’opera o un servizio attraverso il lavoro personale.
I giudici, viceversa, hanno dichiarato la
natura atipica del contratto in questione il quale, pur ispirandosi alla
prestazione d’opera, se ne discosta in parte, poiché il risultato richiesto all'artista non è in tutto e del tutto equiparabile a quella di un qualunque altro professionista. Mentre quest’ultimo, infatti, svolge il suo lavoro in completa autonomia e senza in alcun modo adattarsi a indicazioni provenienti dal
committente, la prestazione dovuta dal cantante lirico riveste in certi aspetti il carattere della para-subordinazione, poiché il coordinamento, l’organizzazione e la direzione che provengono dall’ente lirico influiscono in maniera determinante sull'esecuzione del lavoro.
Inoltre, affermano gli ermellini, la prassi della contrattualistica nel mondo dello spettacolo prevede da tempo l’inserimento della c.d. “ clausola di protesta”, che a detta dei giudici opera come una clausola risolutiva, attraverso la quale al committente è consentito di liberarsi dal vincolo contrattuale se l’artista non risulta sufficientemente capace e comunque adatto al ruolo.
Tale clausola, per importanza e diffusione, risulta inoltre essere stata prevista anche nel
contratto collettivo nazionale degli artisti.
La clausola di protesta è stata diversamente qualificata in dottrina e in giurisprudenza: alcuni l’hanno qualificata come un patto di prova; altri come un
negozio giuridico unilaterale
ad incertam personam; altri ancora come una giusta causa di recesso o un peculiare istituto proprio del rapporto di lavoro artistico.
In ogni caso, l’utilizzo della clausola in questione permette al committente di slegarsi dal vincolo contrattuale, escludendo l’applicazione della norma generale relativa ai diritti economici del prestatore d’opera di cui all'
art. 2237 del c.c..
Tale peculiare clausola di protesta, affermano gli ermellini, “identifica una possibilità per il committente di liberarsi dalla scrittura teatrale, se giudica l’artista non idoneo al ruolo per il quale è stato scritturato”. L’ipotesi più frequente, asseriscono inoltre i giudici, “è quella dell’artista che, durante le prove, si riveli tecnicamente inadeguato o che non sia all’altezza dell’incarico perché non conosce la parte o, ancora, le cui prestazioni non soddisfino gli standard qualitativi che il committente intende offrire al suo pubblico”.
In tali ipotesi è quindi possibile risolvere il contratto.