La vicenda riguarda
un amministratore di condominio, la cui storia personale è diventata il punto focale di una
controversia legale che ha inciso sul mondo del diritto condominiale, mettendo in discussione le norme stabilite e le aspettative comuni.
L’amministratore si era rivolto al
Tribunale di Milano, chiedendo che il condominio che ha amministrato gli riconoscesse una somma di denaro per il lavoro svolto e le spese sostenute durante il suo incarico. Tuttavia, il
condominio non era dello stesso avviso. Ha accusato l’amministratore, sostenendo che non aveva fatto tutto il possibile e che non aveva esaurito tutte le opzioni per recuperare i crediti condominiali non saldati da alcuni condomini, in particolare da una certa società.
Il Tribunale ha deciso di dare ragione all’amministratore, ma solo in parte, respingendo le richieste avanzate dal condominio. Tuttavia, questa non è la fine della vicenda. Sia l'amministratore che il condominio, non volendo accettare la decisione del Tribunale, hanno deciso di fare
appello, portando la questione a un livello superiore.
La Corte d’Appello ha preso una
decisione diversa. Ha respinto l’appello dell’amministratore e ha accolto parzialmente quello del condominio. In seguito a questa decisione, l’amministratore è stato condannato a risarcire i danni al condominio. Secondo la Corte, l’inazione dell’amministratore aveva reso
irrealizzabile il recupero del credito, poiché la società debitrice era stata cancellata dal
Registro delle Imprese, rendendo così impossibile qualsiasi tentativo di recuperare il credito.
La decisione in questione ha innescato un cambiamento significativo nella vicenda. L’amministratore, non volendo accettare la sentenza dei giudici di appello, ha scelto di portare il suo caso davanti alla Corte di Cassazione. Ha contestato il giudizio della Corte d’Appello, sostenendo che il suo comportamento era stato erroneamente classificato come negligente.
Inoltre, l’amministratore ha sollevato un punto di contestazione riguardo alla base normativa della sentenza e più nello specifico alla base normativa del suo obbligo di recuperare i crediti del condominio. Secondo lui, tale obbligo si fonda esclusivamente su di una legge introdotta successivamente rispetto all'epoca a cui si riferiscono i fatti, specificamente la Legge n. 220 del 2012, che, essendo appunto una legge successiva, non avrebbe dovuto essere applicata al suo caso. Cosa che invece ha fatto la Corte d'Appello.
Questi punti, dunque, hanno alimentato la sua volontà di contestare la sentenza, poiché ha ritenuto che sia stata emessa in seguito ad errori di interpretazione.
Tuttavia, la
Corte di Cassazione, l’organo giudiziario supremo, ha respinto il ricorso dell’amministratore. Ha sottolineato con forza che la decisione contestata era corretta nel sostenere che quest'ultimo avrebbe potuto fare molto di più per recuperare i crediti del condominio. Secondo la Corte, avrebbe potuto ottenere l’
esecuzione provvisoria del
decreto ingiuntivo e registrare un’
ipoteca giudiziale sugli immobili del condomino moroso. Queste azioni avrebbero impedito il rischio che la società debitrice, una volta cancellata dal registro delle imprese, non potesse più essere perseguita per i suoi debiti.
Questa decisione ha sottolineato l’importanza del ruolo dell’amministratore nel garantire che tutti i crediti del condominio vengano recuperati in modo efficace e tempestivo.
La Corte ha inoltre precisato che non vi era alcun errore nell’applicazione della legge. Ha sottolineato che, anche prima dell’entrata in vigore della Legge n. 220/2012, l’amministratore aveva comunque il dovere di recuperare i crediti del condominio sulla base dell’art.
1130, comma 1, n. 3 c.c. e sulla base dell'art.
63 disp. att. c.c.
Questa vicenda ci ricorda l’importanza fondamentale del ruolo dell’amministratore di condominio e la necessità di adempiere ai propri doveri con diligenza e attenzione, due qualità indispensabili per chiunque si trovi in una posizione di responsabilità.