In particolare, per il profilo che qui specificamente interessa, l’
imputato lamentava il mancato riconoscimento della legittima difesa, a fronte della
condotta della donna la quale lo aveva colpito con un pugno, nell'ambito di una "contesa" per il figlio
minore (l’uomo era andato a prenderlo per esercitare il proprio diritto di visita).
Secondo la ricostruzione dell'imputato, infatti, nel corso di tale 'contesa' per il figlio, la ex moglie lo aveva colpito per prima alle spalle, e lui avrebbe colpito la donna fortuitamente, per reagire e proteggere il bambino.
Tuttavia, la Suprema Corte ha condiviso la
motivazione data sul punto dal Tribunale quale giudice di
appello, secondo cui era inverosimile che un colpo fortuito potesse avere causato le lesioni diagnosticate (trauma contusivo alla spalla, al braccio e al gomito destro), affermando che non ricorreva una situazione di legittima difesa, per l'assenza della necessità di difendersi. Infatti l’uomo avrebbe potuto allontanarsi senza reagire.
In proposito, la Corte ha ricordato il proprio consolidato orientamento, secondo cui
è configurabile l'esimente della legittima difesa solo qualora l'autore del fatto versi in una situazione di pericolo attuale per la propria incolumità fisica, tale da rendere necessitata e priva di alternative la sua reazione all'offesa mediante aggressione, mentre non è configurabile allorché, come nella fattispecie concreta, il soggetto non agisce nella convinzione, sia pure erronea, di dover reagire a solo scopo difensivo, ma per risentimento o ritorsione contro chi ritenga essere portatore di una qualsiasi offesa.
Nel caso in esame, infatti, pur ammettendo che l'imputato fosse stato colpito dalla ex moglie alle spalle, non ricorreva alcuna situazione di pericolo per la propria incolumità fisica, tale da integrare la necessità di difendersi, ben potendo egli, nell'ambito di una banale lite tra ex coniugi, limitarsi a neutralizzare, se necessario, l'offesa, e ad allontanarsi.
La Corte ha, pertanto, respinto il ricorso.