La disposizione in oggetto, che diversamente dall’articolo precedente non è stata abrogata dalla L. 431/1998, essendo quindi punto di riferimento per i contratti di sublocazione di immobili ad uso abitativo, prevede due distinte ipotesi.
La prima è quella della sublocazione totale dell’immobile, che è equiparata all’ipotesi di cessione del contratto. Tali due possibilità sono generalmente vietate, a meno che non ci sia l’espresso consenso del locatore.
La sublocazione totale e la cessione del contratto si distinguono per la loro diversa consistenza giuridica.
Se da una parte, infatti, con la cessione del contratto si trasferiscono in capo al cessionario i medesimi diritti e obblighi che competevano al cedente, che esce dal rapporto, con la sublocazione totale vi è la nascita di un nuovo diritto, che non incide sui rapporti negoziali tra le parti originali, ma la cui sorte dipende dal rapporto principale.
Con la sublocazione, in particolare, il condutture stipula un ulteriore autonomo contratto di sublocazione con un subconduttore, dietro il pagamento di un corrispettivo.
Il contratto di locazione principale e quello di sublocazione mantengono una causa autonoma e rimangono indipendenti l’uno dall’altro.
Tuttavia, certa parte della dottrina sostiene che essi siano funzionalmente collegati, e che le vicende che incidono su uno dei due contratti non possano restare indifferenti all’altro.
Il contratto di sublocazione è infatti stato definito come un contratto “derivato” dal contratto di locazione principale, proprio in virtù di tale sua dipendenza dalle vicende del primo.
Tuttavia, si parla a tal proposito di contratto appunto “derivato”, e non anche “collegato” in senso tecnico.
Infatti, a tal proposito, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 6390 del 2018, ha affermato il seguente principio di diritto: “nel caso in cui ad un contratto di locazione sia collegato come contratto derivato un contratto di sublocazione avente in quanto tale ad oggetto, totalmente o parzialmente, lo stesso bene oggetto del contratto principale, l'autonomia negoziale delle parti del contratto locatizio non si estende a disciplinare il regolamento negoziale del contratto derivato”.
Al secondo comma è prevista invece la sublocazione parziale dell’immobile, che è consentita salvo patto contrario.
La dottrina e la giurisprudenza si sono adoperate al fine di rinvenire dei criteri di distinzione tra sublocazione totale, sicuramente più gravosa per il conduttore, e parziale.
In concreto:
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la sublocazione parziale si realizza quando il conduttore principale concede al subconduttore il godimento solo di alcune stanze o parti dell’immobile, o anche dell’intera superficie dello stesso, limitando però la fruizione ad alcuni giorni, ore o momenti specifici della settimana;
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diversamente, la sublocazione sarà totale quando il conduttore perde completamente il godimento dell’immobile.
Come conseguenza dell’emanazione della “
legge sull’equo canone”, l’
art. 1594 del c.c. ha subito una deroga, non potendosi più ritenere applicabile alla locazione di immobili ad uso abitativo.
L’art. 1594 stabiliva infatti, in maniera meno restrittiva, che il conduttore “salvo patto contrario, ha facoltà di sublocare la cosa locatagli, ma non può cedere il contratto senza il consenso del locatore”.
L’art. 2 in esame prevede invece che “il conduttore non può sublocare totalmente l’immobile, nè può cedere ad altri il contratto senza il consenso del locatore”.
Tale consenso può essere dato nelle forme più varie: espressamente, sia in forma scritta che oralmente, ma anche per "
facta concludentia". In mancanza di tale comunicazione, il locatore potrà chiedere la risoluzione per inadempimento del contratto
ex art.
1453.
La sublocazione parziale, proprio perché non priva totalmente il conduttore della disponibilità dell’alloggio, è consentita con maggiore libertà, essendo infatti sempre consentita salvo patto contrario.
Il conduttore sarà esclusivamente onerato di comunicare formalmente al locatore, che potrà quindi provvedere a controllare l’uso dell’immobile, tale sua intenzione, indicando anche “la persona del subconduttore, la durata del contratto e i vani sublocati”.
Il consenso del locatore si ritiene debba intervenire prima dell’immissione del subconduttore nel godimento delle parti di immobile locate, anche se il contratto di sublocazione fosse in ipotesi già stato stipulato.
È facoltà delle parti introdurre nel contratto di locazione un divieto espresso di sublocare anche solo parzialmente l’immobile.
La violazione di tale divieto comporta ancora una volta la possibilità per il locatore di richiedere la risoluzione del contratto: secondo le regole ordinarie
ex art.
1453, con valutazione della
gravità dell’inadempimento da parte del giudice; oppure avvalendosi di un’apposita clausola risolutiva espressa, se inserita nel contratto, che consente la risoluzione di diritto.
Nell’ambito della disciplina applicabile alla sublocazione, particolarmente controversa risulta la questione della durata del contratto di sublocazione. Certa parte della dottrina, infatti, sostiene che il contratto di sublocazione debba avere una durata speculare a quello principale, essendo da esso derivato.
Altra parte degli interpreti, viceversa, ritiene che le difficoltà pratiche che sorgono con riguardo alla perfetta coincidenza e sovrapposizione della durata dei due contratti, ostino alla tesi della pari durata degli stessi, di locazione e di sublocazione.
In tal senso depone anche il dispositivo di cui all’art.
1595, il quale, al suo terzo comma, prevede che: “
Senza pregiudizio delle ragioni del subconduttore verso il sublocatore, la nullità o la risoluzione del contratto di locazione ha effetto anche nei confronti del subconduttore e la sentenza pronunciata tra locatore e conduttore ha effetto anche contro di lui”.
In tal caso, il subconduttore potrà chiedere al sublocatore di essere risarcito dei danni subiti.
La giurisprudenza afferma in definitiva che la sublocazione possa essere stipulata anche per una durata inferiore rispetto alla durata minima quadriennale, senza potervi eccedere, essendo comunque un contratto derivato. Con la cessazione del rapporto principale, infatti, viene meno anche quello derivato.
Infine, si ritiene che il subconduttore possa proporre domanda di reintegrazione contro colui che l’abbia spogliato della sua detenzione, in quanto egli è detentore autonomo.